martedì 31 marzo 2020

Il primo re, 2018

Regia di Matteo Rovere, con Alessandro Borghi (Remo),Alessio Lapice (Romolo), Fabrizio Rongione (Lars), Tania Garriba (Satnei), Massimiliano Rossi (Tefarie).

Lazio, 753 A.C: Romolo e Remo sono due fratelli pastori che a seguito di un alluvione si ritrovano nella città di Alba Longa, in cui vengono presi prigionieri assieme a vari uomini appartenenti ad altre tribù e popoli. Durante una rivolta riescono a fuggire liberando anche i propri compagni di sventura e prendendo in ostaggio Satnei, sacerdotessa del culto di Marte, e dirigendosi verso il Tevere.
Durante la fuga Remo si mette in luce per la sua abilità di guerriero e capo, imponendo tra l'altro di portare con sè Romolo gravemente ferito...



Un film abbastanza insolito nel panorama cinematografico italiano, narra la storia di Romolo e Remo e delle origini di Roma. Una storia mitologica quindi, che qui smonta completamente il mito per riportare il tutto ad un feroce realismo che non fa conti a nessuno e che mette in luce come la mitologia e il culto possono essere abilmente manipolate e piegate a secondo dei propri desideri.
Per gran parte del film il protagonista è Remo, che nella coppia di fratelli assume il ruolo di leader che inizialmente istiga gli altri schiavi alla rivolta e poi, una volta liberi, li guida verso una nuova vita che comprende (nelle intenzioni iniziali) una nuova situazione di vita dove
Grazie alla sua leadership riesce a imporsi sugli altri e sopratutto a imporre di portare con sè a ogni costo il fratello gravemente ferito durante le prime fasi della rivolta, che gli altri (come da usanza dell'epoca) volevano abbandonare in quanto lo consideravano "un peso" che rallentava la loro marcia.
Man mano che la storia prosegue viene fuori il carattere violento e tendente alla megalomania di Remo, che comincia a sentirsi prescelto dagli dei per dare vita a una nuova tribù e forse persino a una nuova civiltà; per raggiungere questo scopo ovviamente non si fa nessuno scrupolo non solo a usare la violenza ma anche a piegare a suo favore le interpretazioni della sacerdotessa (anch'essa comunque interessata al proprio vantaggio, non solo a quello di sopravvivere: è lei a cominciare a dargli l'idea di essere figlio di una divinità) e il volere degli dei in generale. 

Questo fino al finale, non certo inaspettato per chiunque conosca un minimo la storia, ma comunque reso in modo da far sorprendere lo spettatore.
Il punto di forza del film è il totale realismo con cui è stato girato: sangue, dolore, sporcizia e scene crude abbondano, perfino la fotografia si basa interamente sulla luce naturale, mostrando chiaramente sia la notte rischiarata unicamente dai fuochi che i raggi di sole che filtrano dalle fronde degli alberi nella foresta, oppure anche la luce lattiginosa e incolore in altri punti. Anche le scene di combattimento sono reali e talvolta realizzate senza controfigure (gli attori hanno dovuto imparare a usare mazze chiodate & affini). Come ciliegina sulla torta...il film è stato girato in latino (con sottotitoli ovviamente!): e non nel latino che si studiava a scuola, ma il latino antico dei tempi di Romolo e Remo (proto-latino).
Fra gli attori primeggia su tutti Alessandro Borghi in una straordinaria interpretazione di Remo, ma in linea di massima ho trovato tutti quanti ottimi e in parte. 
La produzione è opera quasi interamente di maestranze italiane.
Nel 2019 il film ha vinto il Nastro D'argento per la fotografia, la regia, la produzione e il sonoro.

Visto al cinema nel febbraio 2019









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