lunedì 30 settembre 2013

Il discorso del re (The king's speech), 2010


 Regia di Tom Hooper , con Colin Firth (Albert, duca di York), Helena Bonahm Carter (Elizabeth Bowes Lyon), Goffrey Rush (Lionel Logue),Guy Pearce (Edoardo VI), Eve Best (Wallis Simpson), Timothy Spall (Winston Churchill).
 
Inghilterra, anni ’30. Il principe Albert, secondogenito di Re Giorgio V, soffre di balbuzie, un problema molto gosso per lui che, essendo il duca di York, deve presenziare a numerosi eventi pubblici tenendo discorsi in cui rappresenta la famiglia reale. Per aiutarlo sua moglie Elizabeth lo convince a consultare uno stravagante terapeuta, Lionel Logue, che usa metodi nuovi ed è considerato uno dei migliori nel suo campo.
Sebbene inzialmente scettico, a causa soprattutto di precedenti esperienze fallite, Albert decide di portare avanti la terapia a cui Lionel lo sottopone; cosa non facile,anche perché nel frattempo incombono ben altri problemi: il pericolo nazista e l’abdicazione da parte del fratello David, diventanto re col nome di Edoardo V…

 
Come da trama,il film ricostruisce la vicenda personale di Giorgio VI, padre dell’attuale regina Elisabetta, scegliendo di porre attenzione su un problema particolare che il pirncipe affrontò e vinse molto bene : la balbuzie. Già è un problema di non poco conto per persone comuni , figuriamoci per chi deve vivere fra discorsi pubblici e avvenimenti mondani!
Senza considerare che all’epoca le tecniche mediche e psicologiche non erano perfezionate come oggi (e nel film lo si può vedere quando Bertie va dall’ultimo medico prima di Lionel!); molto difficile, quindi per una persona che soffriva di quel disturbo , trovare il coraggio e la forza di mettersi in gioco per risolvere il problema.
E infatti il film affronta principalmente questo, evidenziando che Bertie inizialmente non è comunque il paziente più collaborativo del mondoe che, nonostante non sia una persona arrogante e presuntuosa, cerchi di maricare sui suoi privilegi reali per non andare a fondo della questione.
Colin firth ancora una volta dà prova di sé come attore di razza e sensibilità costruendo un Bertie sensibile ma a suo modo coraggioso e che, a differenza del fratello (che nel film , contrariamente alla storiografia ufficiale, viene visto solo come un irrepsonsabile superficiale) dà prova di affidabilità nel gestire i problemi della nazione (che diventeranno sempre più gravi soprattutto quando si entrerà nella seconda guerra mondiale), rigore, senso morale e di giustizioe  soprattutto impegno, sia nel privato- nel vincere il suo problema- che nel pubblico .
Ottima anche l’interpretazione di Goffrey Rush nei panni del vivace e anticonformista Lionel,soprattutto quando non si òascia vincere dalle richieste e pretese di Bertie trattandolo come tutti gli altri pazienti.
Di ottimo livello soprattutto i duetti tra i due e tr Bertie e la moglie,l’affettuosa e discreta Helena Bonahm Carter.
Il film ha avuto ben 12 nomination agli Oscar, vincendone quattro: miglior film, miglior attore protagonista (Colin Firth), miglior regista  emiglior sceneggiatura non originale.
Anche la regina Elisabetta- che qui compare bambina assieme alla sorella Margaret , deceduta nel 2002- figlia di Giorgio VI, ha visto la pellicola e ne ha apprezzato  lo spirito biografico e il valore storico ed etico.




sabato 28 settembre 2013

Aldo Reggiani

E' morto a Roma all'età di 66 anni l'attore Aldo Reggiani, famoso ancora oggi per aver interpretato il ruolo del protagonista Dick Shelton, accanto a Loretta Goggi, nel celeberrimo sceneggiato "La freccia nera" del 1968.
L'attore era nato a Pisa, e a parte lo sceneggiato che lo rese famoso, ebbe anche una discreta carriera cinematografica ("La donna della domenica", "L'Agnese va a morire" "Il petomane" alcuni dei suoi film), teatrale e come doppiatore. L'attore Primo Reggiani è suo figlio.
"La freccia nera" fu uno sceneggiato che ottenne un successo davvero strepitoso nel 1968, tanto da essere ancora oggi ricordato come uno dei programmi più di successo della Tv italiana, soprattutto da chi era giovane e si appassionò alle vicende avventurose e sentimentali in esso raccontate.
Giusto quindi ricordare un interprete che è rimasto nel cuore degli spettatori per così tanto tempo.



mercoledì 25 settembre 2013

Vallazasca- Gli angeli del male, 2010


Regia di Michele Placido, con Kim Rossi Stuart (Renato Vallanzasca), Filippo Timi (Enzo), Francesco Scianna (Francis Turatello), Valeria solarino (Consuelo), Paz Vega (Antonella), Moritz Bleibtreu( Sergio), Gaetnao Bruno (Fausto).

 Negli anni ’70 Renato Vallanzasca impazza per l’Italia con la sua banda , chiamata “Banda della Comasina”, compiendo rapine e sequestri. Praticamente è il nemico pubblico italiano, ricercato, arrestato, evaso e ripreso più volte nel corso di quarant’anni. La sua vita è quasi completamente dedita alla carriera criminale, in particolare alla rivalità diventata poi- per un breve periodo- alleanza, con l’altro boss della mala milanese, Francis Turatello. Nel bene e nel male Renato diventa un personaggio della cronaca italiana…


Michele Placido mi piace sicuramente più come regista che come attore; trovo che abbia una buona capacità di raccontare storie con occhi distaccato, senza dare giudizi e creando invece empatia tra i personaggi sullo schermo e il pubblico.
 Se IL GRANDE SOGNO non era riuscitissimo, ROMANZO CRIMINALE (uno dei miei film preferiti) è sicuramente uno dei film  italiani più belli degli ultimi anni, film ch sicuramente non sfigurerebbe in competizione col cinema hollywoodiano; anzi, l’avrei visto bene alla notte degli Oscar (pura utopia, lo so…); attendevo quindi con ansia questo nuovo film, inevitabilmente accompagnato da tempo da grandi polemiche, soprattutto da parte dei parenti delle vittime di Vallanzasca e da politici di vario tipo (le prime comprensibili e giustificate, le seconde un po’ meno: come ha fatto notare il regista, in Parlamento ci sono persone che in quegli anni hanno fatto anche di peggio…).
Dopo averlo visto in prima visione posso dire che- anche se non c’è stato il colpo di fulmine avuto con ROMANZO CRIMINALE- anche questo film è ottimamente riuscito, rientra a pieno titolo in quello che gli americani chiamerebbero “gangster movie”, e sono sicura che, se ben sostenuto e pubblicizzato ( insomma, con quel po’ di impegno che pare mancare ai nostri produttori e registi nel valorizzare i nostri film all’estero!), potrebbe avere successo anche a Hollywood.
 Kim Rossi Stuart si riconferma l’ottimo che attore che è, e che non ci farebbe certo sfigurare a confronto che le star hollywoodiane: un attore che sa calarsi nel personaggio completamente, mettendo in evidenza punti di debolezza e di forza che, volente o nolente, il personaggio ha: per esempio la sua onestà nel non trovare scuse per il suo agire (significativa la sua battuta: “C’è chi nasce per fare la guardia, io invece sono nato per fare il ladro”  ), nel prendersi le proprie responsabilità anche quando la colpa non è direttamente sua (e qui bisognerebbe vedere quanto la versione dei fatti raccontata nel film sia aderente e veritiera con la realtà…), o la sua fedeltà agli affetti (elemento tipico di molti criminali).
 Ne esce il ritratto- in negativo, per uno spettatore attento- di un uomo che ha buttato via la propria vita seguendo il miraggio della bella vita e dei soldi facili, sprecando l’evidente intelligenza ed energia fisica (anche se a tratti mi è sembrato un’invasato!) che poteva usare in ben altri modi positivi. Ottimi anche gli altri comprimari, in primis un efficacissimo Filippo Timi, nel ruolo del cattivo traditore (in fondo, un debole) che la pagherà cara.
 Completa il tutto un ritmo sostenuto e un’ottima colonna sonora (dei Negramaro).
 Consiglio di vederlo per non perdersi un’ottimo film italiano, al di là di qualsiasi giudizio si abbia sul personaggio in questione.




domenica 22 settembre 2013

Barry Lindon, 1975



Regia di Stanley Kubrick, con Ryan O’Neal (Barry Lindon), Marisa Berenson (Lady Lindon), Marie Kean (Mrs Lindon), Roger Rooth (re Giorgio III), Gay Hamilton (Nora Barry), Leon Vitali (Lord Bullington).


Nell’Inghilterra del ‘700, il giovane Barry, di modeste origini, si innamora della cugina che però a causa di esse lo rifiuta. Decide così di tentare la fortuna nell’esercito, e dopo mirabolanti peripezie di ogni tipo, arriva a scalare l’alta società, sposando la ricca Lady Lindon,di cui assumerà il cognome...

Confessione sacrilega: ritengo che Kubrick sia uno dei registi più noiosi della storia del cinema ("Shining"  e "Spartacus" a parte); dei suoi film che ho visto non ce n'è uno che non mi abbia tediato, poco ("Lolita") o tanto (tutti gli altri).
Non fa eccezione nemmeno questo (tratto dal romanzo "Le memorie di Barry Lyndon" di Willia Tackeray), considerato uno dei massimi capolavori del regista e della cinematografia, che io però ho tentato di vedere ben due volte prima di arrivare vicina alla fine...e no, non ci sono arrivata alla fine, mi sono troppo nnoiata!
Tecnicamente perfetto e ineccepibile, è forse proprio questo il suo difetto più grande: il tipico film così perfetto da risultare noioso. La storia assomiglia a quella di Tom Jones, ma mentre là permanevano per tutta la narrazione ironia e divertimento, qui col passare del tempo la situazione si fa sempre più greve, simbolo del decadimento morale del protagonista,che riesce a soddisfare il suo desiderio di salire la scala sociale a caro prezzo sul piano personale.
Forse il ruolo più importante di Ryan O'Neal, fino ad allora noto più che altro per "Love story", che qui prova ad affrancarsi dall'etichetta di "bello" con cui era noto, nonostante avesse già al suo attivo anche il pregevole "Paper moon", con una buona prova attoriale  di carattere drammatico; brava anche Marisa Berenson nel ruolo della moglie lady Lindon.
Ambientazioni, costumi, paesaggi bellissimi e perfetti....non guastano certo e sono una gioia per la vista, ma come già detto il troppo perfezionismo (per cui Kubrick era noto a livello maniacale) stroppia anche nel cinema.
Nel 1976  vinse quattro premi Oscar: migliori costumi, fotografia, scenografia, colonna sonora.




lunedì 16 settembre 2013

In ginocchio da te, 1964


Regia di Ettore Maria Fizzaroti, con Gianni Morandi (Gianni Traimonti), Laura Efrikian (Carla Todisco), Nino Taranto (Maresciallo Todisco), Raffaele Pisu (Zio Lele), Gino Bramieri (Ginone Traimonti),Vittorio Congia (Nando), Stelvio Tosi (Giorgio di Bassano), Margaret Lee (Beatrice Di Bassano),Ave Ninchi (Cesira)

Il giovane bolognese Gianni viene inviato a Napoli per il servizio militare. Qui conosce Carla, figlia del maresciallo Todisco; i due giovani s'innamorano e fidanzano segretamente aggirando i divieti del severissimo maresciallo. Gianni ha da sempre una grande passione per la musica e partecipa a un concorso canoro, ma tutto ciò sarà fonte di qualche guaio...

Ebbene sì, tra i miei film preferiti c'è anche quello che probabilmente è il musicarello più famoso nel suo genere, un film che all'epoca fu il più visto dell'anno, che viene ricordato come il film "Galeotto" per la coppia più amata dell'epoca (Gianni Morandi e Laura Efrikian) e ancora oggi viene considerato un buon spaccato di società e vita italiana dell'epoca.
Io personalmente l'ho visto la prima volta a 13 anni e me ne sono innamorata immediatamente: una storia semplice, pulita, simpatica e divertente, con belle canzoni e soprattutto full immersion totale negli anni '60....si può chiedere di più? Già in quegli anni, grazie soprattutto ai racconti di mia mamma sulla sua gioventù, cominciavo ad amare quel periodo e la visione di questo film per me è rimasta l'esempio di un'epoca felice ormai perduta, senza dimenticare i connotati affettivi che questo tipo di film hanno significato per una ragazzina quasi sempre sola, come sono stata io.
Ma dato che non voglio parlare delle mie malinconie, mi soffermerò sul film: struttura semplice, ruoli un poco stereotipati (il veneto mona, il bolognese alla mano, il romano furbo e intrallazzone, il siciliano geloso ecc) ma interpretati con grande professionalità dagli attori,quasi tutti giovani e più o meno conosciuti anche quando alle prime armi: tra questi ci sono il comico Vittorio Congia e Fabrizio Capucci, alcuni camei azzeccatissimi (tra cui Ave Ninchi nel ruolo della terribile domestica Cesira e la coppia Bramieri-Pisu nei ruoli di padre e zio).
Gianni Morandi si fa notare non solo per la voce ma anche per una certa capacità attoriale che lo porterà, nel corso della sua carriera, a diventare non solo il migliore cantante- attore di musicarelli, ma anche ad intraprendere una discreta carriera come attore. Certo, dato che in fondo qui interpreta sé stesso non penso sarà stato difficile! Io comunque quasi quasi me ne innamoravo ;)
La Efrikian deliziosa anche se purtroppo un poco stucchevole, difetto che purtroppo ha sempre mantenuto nel corso della sua carriera- anche a causa di ruoli perennemente di brava ragazzina timorata, al limite di  malaticcia e disgraziata, come lei stessa ha ammesso in un'intervista; altro interprete, uno strepitoso Nino Taranto nel ruolo del maresciallo e padre di Carla.
La mia scena preferita è quella finale,che trovo tra le più romantiche del cinema (sì, lo so,Hollywood ecc ecc ecc...ma io la penso così).Divertente anche il balletto nelle docce.
Colonna sonora ovviamente total Morandi.
Primo ( e migliore) di una trilogia, ancora oggi è uno di quei film che vedo soprattutto quando voglio rasserenarmi, e ancora riesce ad avere su di me questo effetto (cosa, credetemi, assolutamente non facile).




sabato 14 settembre 2013

Midnight in Paris, 2011


Regia di Woody Allen, con Owen Wilson (Gil ), Rachel McAdams (inez), Marion Cotillard (Adriana), Katy Bates (Gertrude Stein),Corey Stoll (Ernest Hemingway), Tom Hiddleston (Francis Scott Fitzgerald),Allison Pill (Zelda Fitzgerald), Adrien Brody (Salvador Dalì), Michael Sheen (Paul).
 
Gil è uno sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni di scrittore, in vacanza a Parigi con la futura moglie Inez. I due sembranoa vere opposte visioni della vita e gusti totalmente diversi,al punto che Gilsi estrania dalla noiosa vita vancanziera con suoceri  rompiscatole e amico saccentone e perfetto di Inez, e quindi una sera si isola dal gruppo per passeggisre per le vie di Parigi.  A mezzanotte in punto, una Bentley degli anni ’20 (la sua epoca preferita), si ferma davanti a lui e due simpatici individui lo convincono a seguirli: gil si ritrova così catapultato nella Parigi degli anni ’20, dove fa amicizia con Francis Scott Fitzgerald e sua moglie Zelda, con Ernest Hemingway e Gertrude Stein che si offrono di leggere il suo romanzo e con altri grandi personaggi dell’epoca!
Così, ogni sera, Gil torna nello stesso punto della prima volta pronto per vivere una notte ancora con i suoi nuovi amici nella sua “epoca d’oro”; ma tutto ciò scatena una serie di sospetti ed eventi imprevedibili….
 
Una sola parola: STUPENDO! Woody Allen è un regista che raramente mi ha deluso, ma negli ultimi anni sembrava si fosse perso un po’ per strada, ma con gli ultimi film ha decisamente ripreso quota.
Che Parigi fosse una delle città del cuore (insieme a Venezia) di Allen  ogni suo fan lo sa bene visto che l’ha spesso messa nei suoi film se non proprio fisicamente (come in TUTTI DICONO I LOVE YOU), con molteplici riferimenti . Ora Parigi è la protagonista di questo suo nuovo film, in una veste elegante, classica, ma anche moderna e surreale, così come lo è l’idea base del film.
Lo dichiaro a pieni polmoni,il protagonista realizza uno dei mie grandi,impossibili sogni: essere trasportato e poter vivere nella sua epoca preferita! MAROOOOOOOOOOO’ CHE INVIDIAAAAAAAAAAAAAAA!
Se la mia epoca d’oro sono gli anni’60-’70, quella di Gil sono gli anni ’20, anni in effetti di grande fervore culturale: grazie a un abile e affascinante stratagemma narrativo che seppure non nuovo o particolarmente originale coivolge emotivamente lo spettatore, Gil si ritrova a viverci- anche se solo parzialmente- trovandosi più a suo agio che nel 2011, ma scontrandosi anche con una realtà abbastanza ovvia: ogni epoca ha la sua epoca d’oro, che però viene catalogata come tale solo dai posteri, ma che non viene vissuta come tale dai suoi abitanti,che a loro volta hanno un’altra epoca d’oro in cui vorrebbero vivere.
Gil è interpretato ottimamente da Owen Wilson, attore che ho sempre considerato scialbo e incolore e che in questo film per la prima volta fornisce un’interpretazione degna di nota, interpretando un perfetto alter ego del regista (per motivi di età Woody Allen non recita più nei suoi film come un tempo, ma non si può non immaginarselo nei panni dei suoi protagonisti!) incompreso, solo, straniato da uan realtàin cui non si trova bene; Marion Cotillard è invece una splendida Adriana,la ragazza degli anni ’20 che affascina Gil con la sua bellezza e il suo brio, attrice che migliora sempre di più in ogni film. Degni di nota anche i personaggi di contorno: il rigido suocero,la fidanzata egoista, il saccentone insopportabile. E ovviamente tutti i famosi degli anni ’20, anche se sinceramente Zelda Fitzgerald la immagino comunque meno bambinetta dell’interpetazione fornita in questo film.
Degno di nota anche il manifestp del film, che ritrae il protagonista immerso in un quadro di Van Gogh. E ovviamente meravigliosa Parigi, in ogni suo angolo, sia di notte che di giorno.
A tal punto che l’ho già catalogato come uno dei miei film preferiti, nonostante la presenza (per fortuna breve) dell’odiosa Madame Sarkozy.





giovedì 12 settembre 2013

Il peccato e la vergogna, 2010








 Regia di Luigi Parisi, con Gabriel Garko (Nito Valdi), Manuela Arcuri (Carmen  Tabacchi), Giuliana De Sio (Bigiù), Eros Galbiati (Giulio Fontamara), Francesco Testi (Giancarlo Fontamara), Victoria Larchencko (Elisa Fontamara), Martine Brochard (Sylvie).

Nei primi anni del Novecento, il piccolo Nito viene abbandonato dalla madre e cresce in un collegio.
Da adulto, verso la fine degli anni trenta, lavora alle dipendenze di un boss della mafia romana; conosce e s’innamora di Carmen, figlia di una delle vittime del boss, una giovane esuberante e determinata a uscire dalla povertà in cui è sempre vissuta.
Nito però ha una natura violenta e cattiva, che esplode quando Carmen lo lascia dopo averlo visto picchiare a sangue un uomo; da quel momento la giovane non avrà pace, visto che Nito sviluppa nei suoi confronti una vera e propria ossessione che lo porterà a perseguitarla nel corso degli anni, usando ogni mezzo per indurla a tornare con lui…


Questa premiatissima (negli ascolti) fiction risale a settembre 2010; visto il risultato del prodotto, avevo deciso che non valeva la pena dedicargli un post.
Ma settimana scorsa ho avuto la ferale notizia che a breve andrà in onda la seconda serie euro e mi è venuto un soprassalto di coscienza: posso permettere che qualche incauto spettatore che abbia perso la messa in onda Tv, attirata dal fatto che la fiction è stata pubblicizzata come ”una grande storia d’amore e di passione”, spenda anche solo mezz'ora del suo prezioso tempo per cercare di vedere questo polpettone malfatto e indigesto? No, non sarebbe giusto!



E così eccomi qui, a parlarvi di questo polpettone senza capo né coda in cui - tanto per attenerci al titolo - l’unico peccato è quello di averlo seguito per tutte le sette puntate e l'unica vergogna quella di perseverare facendone la seconda serie.
Chiedo scusa agli eventuali ammiratori per i toni da me usati; ma la sottoscritta, che al contrario di molti è amante delle fiction italiane e dei loro interpreti (in primis Gabriel Garko e Giuliana De Sio) stavolta non ha potuto fare a meno di riconoscere che questa fiction è la classica ciambella riuscita senza buco…per essere clementi.
Che gli autori della sceneggiatura non si siano sforzati troppo l’avevo già intuito dal titolo, di cui non si capisce il significato, nemmeno proseguendo con la storia. Ma pazienza… non è da un titolo che si giudica un libro , quindi deve valere anche per una fiction, no?
E quindi andiamo avanti.
Fin dalla prima puntata viene il dubbio che non sia proprio una storia d’amore: in pratica, che non sia la storia del solito cattivo redento dalla sua donna. Nito infatti ha una natura violentissima, che più violenta non si può, che si può scusare solo in minimissima parte con il trauma dell’abbandono patito da bambino; e infatti andando avanti con la storia, possiamo ben dire che il “poveretto” altri non è che un malato di mente, ma di quelli pericolosi: a parte che  l’ossessione che sviluppa nei confronti della protagonista già di per sé non è certo normale, ma se poi questa ossessione lo porta a (elenco solo alcune cose):

- portare Carmen in un bordello per costringerla a cedere;

- stuprarla (più di una volta!);

- picchiarla (anche qui più di una volta… ma tra gli sceneggiatori c’era Rosemary Rogers per caso?!);

- ammazzarle il padre

… e altre piacevolezze simili… beh, penso proprio che se la fiction fosse stata ambientata ai giorni nostri, Nito sarebbe stato condannato all’ergastolo per stalking!
Senza contare il fatto che la fiction stessa è impregnata di violenza in modo esagerato: nel corso delle sette puntate Nito stupra più donne, inducendone due al suicidio, tortura più gente che può, ammazza metà della famiglia ebrea Fontamara, ammazza due vecchietti durante una rapina… insomma un’orgia di sangue! Che era cattivo l’avremmo capito anche senza tutte queste esagerazioni…
Basterebbe questo per bocciare la fiction; ma come non nominare la pessima recitazione  di questi tutti gli interpreti, anche di quelli solitamente bravi? Il fatto è che in tutta questa accozzaglia di avvenimenti e personaggi che si susseguono come una  girandola di puntata in puntata è difficile dare ai personaggi una pur minimo spessore psicologico, col risultato che abbiamo una serie di macchiette, tipo il buono che viene inevitabilmente fregato da tutti, la giovane innamorata dolce e ingenua (che a me, scusate, è sembrata una povera stupidina!)  che viene crudelmente tradita, il gaudioso irresponsabile che maturerà (si fa per dire!) con la guerra…e via dicendo. Insomma, approfondimento psicologico o sentimentale zero.



Eccetera eccetera… alle prese con personaggi di questo tipo, è chiaro che la recitazione è quella che è, ovvero ai minimi sindacali, e non sempre per colpa degli attori: se la pur simpatica Manuela  Arcuri ci ha ormai abituati a una pessima recitazione cui alla lunga non sopperisce la sua avvenenza fisica , se il volenteroso Gabriel Garko nonostante riesca a delineare un cattivissimo puro che non suscita alcuna simpatia in nessuno (lo stesso attore in un’intervista ha dichiarato che, quando si è rivisto sullo schermo, si è odiato da solo!), penso che altri personaggi e relativi interpreti, come la prostituta interpretata da Giuliana De Sio, avrebbero potuto dare molto di più.
L’ambientazione? Ovvio che se siamo nel periodo compreso tra la fine degli anni ’30 e la seconda guerra mondiale, ci saranno il fascismo, la persecuzione degli ebrei, la guerra...tutti argomenti importanti trattati come una leggerezza incredibile e sconcertante.
Come se tutto ciò non bastasse, c’è pure lo svarione temporale: nella prima puntata la sorellina di Carmen è una bimba di circa sette anni; la storia prosegue, le puntate coprono vicende in un arco di otto anni circa; arriviamo nell’immediato dopoguerra (1946 circa)… e la bambina è sempre la stessa! Le privazioni della guerra le hanno forse bloccato la crescita?!
Unica nota di merito, splendidi costumi, che stanno molto bene  se vestiti in particolare dalla Arcuri; grazie a ciò visivamente l’attrice ricorda spesso attrici famose  del cinema dei telefoni bianchi, come  Doris Duranti o Luisa Ferida…ma il paragone finisce lì, purtroppo.
Concludo dicendo che l’unico motivo che mi ha spinto a vedere tutte e sette le puntate (già dopo la seconda avrei abbandonato) è stata la curiosità di vedere che fine avrebbe fatto Nito… ma siccome si sta diffondendo la moda dei finali aperti che preludono a una seconda serie, non ho avuto nemmeno questa soddisfazione. E dopo essermi levata questi “sassolini” dalla scarpa, vi lascio libere di decidere delle vostre visioni: la mia coscienza è a posto!

lunedì 2 settembre 2013

L'onore e il rispetto- parte III, 2012





Regia di Luigi Parisi e Alessio Inturri, con Gabriel Garko (Tonio Fortebracci), Cosima Coppola (Melina), Alessandra Martines (Francesca De Santis), Cristiano Pasca (Riccardo Zito),Laura Torrisi (Carmela Di Venanzio),Toni Bertorelli (Don Saro Ferlito), Gabriele Rossi (Fortunato Di Venanzio), Eric Roberts (Tom Di Maggio), Giuliana De Sio (Concetta De Nicola, detta Tripolina), Mario Cordova (Don Tano Mancuso), Christopher Cassio Martins Meireles (Lee Di Maggio), Francesco Testi (Renè Rolla), Giulio Forges Davanzati (Giasone De Nicola), Federico Galante (Paride De Nicola),Valerio Morigi (Ettore De Nicola).

Dopo essere guarito dall’attentato organizzato contro di lui da Fortunato di Venanzio, Tonio decide di cambiare vita e uscire dalla criminalità,per vivere tranquillamente sposando Melina e facendo finalmente da padre sia alla figlia Antonia che al nipote Salvatore. Purtroppo i boss non l’hanno dimenticato e Don Tano Mancuso dà ordine di sterminare la famiglia Fortebracci: nell’attentato muoiono Melina e Salvatore, mentre Tonio e Antonia si salvano.
Dopo aver messo al sicuro la figlia Tonio rinuncia ai suoi propositi di tranquillità per vendicare la sua famiglia;  convinto che sia stato Fortunato a mettere la bomba, si allea con la Tripolina, una prostituta che lavora al soldo di Mancuso, madre di cinque figli a sua volta in cerca di vendetta contro i figli dei boss (compreso il solito Fortunato) che le hanno stuprato e ucciso la figlia Venere….



Tre anni dopo la seconda serie, riecco Tonio Fortebracci e compagnia bella (in senso ironico ovviamente), con questa serie attualmente in replica su Canale 5.
Devo dire la verità, questa serie è quella che mi è piaciuta di più delle tre finora realizzate, mi ci sono appassionata più delle altre e gran parte del merito credo sia proprio di Tripolina, il personaggio interpretato (molto bene direi) da Giuliana De Sio, e della sua famiglia.
Le altre vicende e personaggi (comprese quelle riguardanti la famiglia De Nisi, assolutamente inutili a livello narrativo) mi sono spesso sembrate un allungare un brodo tanto per arrivare a sei puntate. Del resto, è più che normale: a ogni puntata succedeva una mattanza, tant’è vero che arrivati alla terza puntata mancava già metà del cast…se non mettevano tutti quei personaggi con relative storie, come facevano ad arrivare alla fine della serie?!
Tonio- come sempre protagonista assoluto- presenta ormai molti cambiamenti: è stufo delle criminalità, vuole lasciare la mafia per dedicarsi agli affetti familiari tardivamente sviluppati (vedasi prima serie), soprattutto ama molto la figlia Antonia, al punto da compiere il sacrificio di abbandonarla e farsi odiare da lei (ma solo apparentemente) per proteggerla in realtà da possibili vendette che certamente si abbatterebbero sulla bambina se i nemici del padre venissero a sapere che è sopravvissuta all’attentato. Di certo però l’indole macchinosa e un tantino crudele non l’abbandona, anche se la motivazione principale è il dolore e il conseguente senso di vendetta causato dalla perdita della sua famiglia.
Trama da sceneggiata greco-napoletana assicurata, record di coccoloni che mi sono presa durante la visione (ben 4): uccisione di Melina e Salvatore, uccisione della giudice De Santis, stupro e uccisione della povera Venere e uccisione della povera Erminia.
Ma torniamo alla Tripolina della De Sio,un personaggio a mio avviso incisivo e interessante (l’unico in tal senso di tutte le tre serie): una donna dura, abituata a vivere di espedienti,probabilmente analfabeta (più volte nel corso della storia quando qualcuno la invita a leggere qualcosa declina dicendo che non ci vede bene….) ma con un’evidente quanto inspiegata passione per la mitologia greca dato che ha chiamato i figli Ettore,Giasone, Paride, Venere e Patroclo; i maschi allevati come delinquenti (per questo l’ultimo le verrà portato via), ma per la figlia ha un sogno, darle una vita totalmente diversa dalla sua, e infatti la fa studiare in collegio a Palermo, la tiene lontana dalla malavita…forse se Venere fosse vissuto anche per la madre e i fratelli ci sarebbe stata una possibilità di riscatto. Ma la poverina nella prima puntata fa la fine che sappiamo, e allora la madre, già non troppo fine, scatena tutta la sua brutalità, arrivando  a sacrificare gli altri figli, compreso quello buono che vorrebbe una vita onesta, pur di fare giustizia.
Ho trovato questo personaggio molto duro e sofferente, una buona interpretazione della De Sio, un personaggio che mostra bene dove può arrivare una madre quando le viene strappato il bene più prezioso. Personalmente poi facevo il tifo per i giovani Erminia e Paride e mi è spiaciuto tantissimo che abbiano deciso di farli finire così, mentre ho provato un’antipatia terribile per Giasone, mi veniva voglia di prendere a schiaffi il televisore! Comunque bravi tutti gli attori che hanno interpretato la famiglia De Nicola.
Altro attore che mi è piaciuto, Eric Roberts nel ruolo del boss americano Tom Di Maggio: bravo l’attore ma super fesso il personaggio! Forse se n’è reso conto pure lui dato che ho saputo che nella prossima serie non ci sarà (anche se sospetto che non l’abbiano più chiamato perché costa un miliardo al minuto)….come sempre finale apertissimo, ma attendo la quarta serie per vedere come finiranno le cose.