mercoledì 21 agosto 2013

Kiki-Consegne a domicilio (魔女の宅急便 Majo no takkyūbin), 1989



Regia di Hayao Myazaki, con le voci italiane di: Eva Padoan (Kiki- Ursula),Ilaria Stagni (Jiji),Gio Gio Rapattoni (Signora Osono),Manuel Meli (Tombo).

La streghetta Kiki, compiuti i 13 anni,come da tradizione parte lasciando la famiglia per compiere il suo apprendistato: dovrà vivere per un anno in un’altra città (a sua scelta), e cavarsela completamente da sola, con l'unica eccezione del fido gatto Jiji.
Scelta la città in cui abitare Kiki fa amicizia con la panettiera, signora Osono, che la ospita in una stanza adiacente a casa sua, e l’aiuta a intraprendere una piccola attività: consegne a domicilio effettuate ovviamente a mezzo scopa. Gli inizi sono un po’ difficoltosi ma  soddisfacenti e oltretutto c’è un ragazzo di nome Tombo che la corteggia….

Bellissimo questo cartone (risalente all’89, ma distribuito in Italia già nel 2003) di Myazaki, a mio avviso il migliore a pari merito con “il castello errante di Howl”. Mi sono davvero goduta la sua visione, una bella favola originale ma con messaggi importanti come l’importanza dell’essere indipendenti e di non giudicare le persone dalle apparenze, ben girata (anche se con qualche “buco”narrativo) e con disegni davvero stupendi, non solo per la deliziosa città dove Kiki va a vivere, ma anche per i personaggi (molti dei quali somigliano fortemente a personaggi visti in cartoni animati dell’epoca in tv, tipo “Anna dai capelli rossi”, “una classe di monelli per Jo” o “il mistero della pietra azzurra”).
Stavolta persino le orrende canzoni giapponesi tipiche di queste colonne sonore mi sono piaciute, ricordano molto le canzoni degli anni '60.
Davvero delizioso, rasserenante, divertente...se vi piace Myazaki non potrà non piacervi, ne sono sicura!



P.S:Da parte mia, invidia abbestia per la protagonista che a soli 13 anni ha l’occasione di andarsene di casa, che trova casa in una cittadina così deliziosa, che trova un corteggiatore che le corre dietro nonostante lo prenda a pesci in faccia….



 


venerdì 16 agosto 2013

Gangster squad, 2013


Regia di  Ruben Fleischer, con Josh Brolin  ( John O’Mara), Sean Penn (Mikey Cohen),Ryan Gosling (Jerry Woolers), Emma Stone (Grace Faraday),Nick Nolte (Bill Parker),Anthony Mackie (Coleman Harris),Giovanni Ribisi (Conway Keeler),Michael Pena (Navidad Ramirez),Robert Patrick (Max Kennard),Mirelle Enos (Connie O’Mara).

Los Angeles, 1949: la città è quasi completamente in mano al gangster Mickey Cohen, che attraverso corruzione di polizia, eliminazione di testimoni scomodi e altre attività di questo tipo, mira ad espandere
Per contrastare l’ascesa del boss, il capo della Polizia incarica il sergente John O’Mara di costituire una squadra speciale di uomini esperti nei  vari ambiti della lotta contro il crimine...

Bel film di gangster anche se un po’ patinato, e soprattutto, con una fortissima somiglianza “spero casuale, ma mi sembra poco probabile) con “Gli intoccabili”.
Le coincidenze sono davvero troppe: il detective con famiglia, quello inizialmente riluttante che poi si convince a far parte della squadra dopo un attentato in cui rimane vittima anche un bambino, la vecchia volpe, il poliziotto discriminato per la sua etnia (qui indiano, là italiano), i due buoni che muoiono eroicamente, il boss psicologicamente disturbato,la scena madre dell’inseguimento- sparatoria in stazione….e molti altri, non c’è che dire.
Elemento che invece manca è la pupa del gangster, che alla fine preferirà tornare a una vita onesta e si metterà con uno dei poliziotti,  e che qui è interpretata da uno dei misteri della fede di Hollywood: Emma Stone, considerata una delle attrici più brave e sexy del momento, ma in cui io francamente non ho trovato traccia né dell’una né dell’altra (anzi, la mia opinione è che andrà anche bene di corpo, ma di viso è piuttosto bruttarola): un bel manichino che fa la sua scialbina figurina con quei bei vestiti chic e quella fulgida chioma rossa, ma rigida, legno setta e piuttosto inespressiva come attrice.
Per il resto il film comunque funziona, è appassionante al punto giusto, le  parti più d’azione sono ben alternate con quelle più intimiste dedicate alla vita privata dei protagonisti; finale naturalmente scontato, ma in questi casi sempre piacevole (non credo che ci fosse qualcuno che tifi per il gangster).
Bravi gli attori, su cui spicca il cattivo Sean Penn dal perenne ghigno; belle ambientazioni e costumi, come sopra detto abbastanza patinati e in alcuni casi proprio sfavillanti.
Non credo sarà una delusione per chi ama il genere; per me ad esempio non lo è stato.





martedì 13 agosto 2013

L'onore e il rispetto- parte II, 2009


Regia di Salvatore Samperi e Luigi Parisi , con Gabriel Garko (Tonio Fortebracci), Giuseppe Zeno (Santi Fortebracci), Cosima Coppola (Melina Bastianelli), Serena Autieri (Olga), Valeria Milillo (Alma Vinci), Alessandra Martines (Francesca de Santis), Laura Torrisi (Carmela di Venanzio),Elena Russo (Assunta Rocca),Vincent Spano (Rdolfo di Venanzio),Sergio Arcuri (Dario Rocca),Gabriele Rossi (Fortunato di Venanzio), Angela Molina (Donna Rosangela).


Sopravissuto alla strage della cava Tonio cerca di ricongiungersi alla moglie Olga, che nel frattempo ha dato alla luce un figlio, Nicolas, e che ovviamente non sa che il marito è vivo. Ci riesce, ma purtroppo solo per un brevissimo periodo:Olga muore in un incidente stradale e solo il piccolo sopravvive. Distrutto dal dolore Tonio decide di diventare collaboratore di giustizia affidando il figlio al fratello Santi, ma così facendo ovviamente si attira (se mai ce ne fosse stato bisogno) l’odio di tutti gli altri boss che sono pronti a tutto pur di impedirgli di parlare.
E infatti, dato che le minacce personali non sortiscono alcun effetto, in un attentato uccidono Santi, Nicolas e la giornalista Alma Vinci. A questo punto Tonio non avendo più nulla da perdere decide di riscoprire i suoi propositi di vendetta….


Tre anni dopo la prima serie ecco la seconda parte della storia dei fratelli Fortebracci, Tonio mafioso e Santi magistrato. Ovviamente le cose non possono mettersi bene , trattandosi di una storia che mischia lotta alla mafia e collusione con essa, e quindi, già dalle prime puntate abbiamo il fatto shock della serie, l’uccisione di Santi da parte dei più acerrimi nemici di Tonio: scena questa che, a mio avviso, rimane nella mia personale “storia della televisione” per il mega coccolone che mi sono presa nel vederla (e notare che non sono una persona particolarmente sensibile o impressionabile!), davvero violenta e di forte impatto emotivo per qualsiasi spettatore con un minimo di sensibilità (oltre al fatto dell’uccisione di uno dei personaggi più amati, il particolare che viene assassinato con in braccio il neonato);mentre scrivo mi risento ancora nelle orechcie il grido della vecchia zia al balcone “Hanno ammazzato Santiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!! E anche il picciliddroooooooooooooooooo!!!”, il tutto mentre Tonio al telefono assiste impotente e in diretta alla mort di figlio e fratello…insomma, il tutto in linea con la migliore (o peggiore, a seconda delle preferenze) sceneggiata greca e napoletana,che però in qualche suo misterioso modo sa toccare alcune corde anche negli spettatori più riluttanti.
Recitazione non sempre sufficiente (si salvano Garko, Zeno, Milillo), personaggi abbastanza macchietistici, ammazzamenti e disgrazie  a gogò e come filo conduttore di tutto la canzone “La notte” di Salvatore Adamo (chissà perché proprio quella) son difetti impossibili da ignorare, tuttavia come per l’altra serie c’è qualcosa che conquista lo spettatore, e non è solo (come qualche maligno ha detto) il fascino di Gabriel Garko; no, c’è proprio qualcosa nella storia che nemmeno io sono riuscita a individuare…e che ovviamente rimanda alla terza serie.
Quindi alla prossima….


sabato 10 agosto 2013

Treno di notte per Lisbona (Night train on Lisbon),2013




Regia di Bille August , con Jeremy Irons (Raimund Gregorius ), Jack Huston (Amadeo Pardo),Melanie Laurent (Estefania),August O’Dielh (Georges O’Kelly), Charlotte Rampling (Adriana Prado Anziana),Beatriz Batarda (adriana Prado Giovane).
 

Mentre si sta recando a scuola il professor Gregorius soccorre una ragazza che sta tentando il suicidio, la quale però subito dopo scompare nel nulla lasciando solo un libro  e un biglietto ferroviario per Lisbona. Incuriosito e spinto dalla voglia di cambiare una vita grigia e monotona, il professore si ritrova sulle tracce di Amadeo Prado, l’autore del libro, medico e partigiano all’epoca della dittatura di Salazar…


Bille August è un regista che si è formato, con alterne fortune e risultati, sulla trasposizione di romanza adattati per il grande schermo (ricordiamo “La casa degli spiriti” e “I miserabili”), e qui non fa eccezione, scegliendo un romanzo omonimo  ( ) di Pascal Mercier.
Non avendo letto il romano mi risulta impossibile fare una comparazione tra l’opera letteraria e il film, ma devo dire che,rispetto al bruttarolo “I miserabili”, ha comunque realizzato un film intrigante, interessante e coinvolgente.
Certo, quello che inizialmente sembra il protagonista, ovvero il professore interpretato da Jeremy Irons, viene rapidamente messo in ombra dalla più interessante storia che ripercorre a ritroso nel tempo, un’affascinante storia di amicizia, amore, tradimenti, lotta contro la dittatura, la cui figura centrale è quella di Amadeo,in cui probabilmente Gregorius riconosce quello che lui vorrebbe essere stato, attorniato da altre figure non meno importanti e carismatiche a modo loro: l’amico Georges, la donna amata da entrambi e poi fuggita da entrambi, la sorella Adriana che anche dopo la morte ne conserva fedelmente la memoria (in un modo un tantino morboso, dato che finge addirittura che il fratello non sia mai morto).
Tutto ciò condurrà il professore a prendere la decisione di intraprendere una nuova vita.
I continui salti tra passato e presente, e il ritornare più volte alla stessa scena per svelare un nuovo particolare, potrebbe essere un difetto del film ma se non ha dato fastidio a me che solitamente non sopporto queste cose penso possa essere ben tollerato da chiunque.
Molto bella anche la cornice in cui si svolge la vicenda, non solo per le bellissime riprese sia della Svizzera che di Lisbona, ma anche per la scelta di sottolineare con diverse sfumature di luce le diverse fasi della storia, in linea con quanto narrato: opaco o comunque grigio il presente, più sfavillante e luminoso il passato, come a simboleggiare il grigiore del primo e la passione e gli ideali in cui invece è immerso il secondo.





venerdì 9 agosto 2013

The vampire diaries- Stagione III



Regia di,  con Paul Wesley (Stefan Salvatore), Nina Dobrev (Elena gilbert), Ian Somerhalder (Damon Salvatore),Steven McQueen (Jeremy Gilbert),Candice Accola (Caroline Forbes), Katherina Grahm (Bonnie Bennett), Michael Trevino (Tyler Lockwood), Claire Holt (Rebekah),Joseph Morgan (Klaus).

A causa del patto stretto con Klaus per salvare Damon dalla morte per morsoa, di licantropo, Stefan è costretto ad abbandonare con lui Mystic Falls e seguirlo in giro per l’America per aiutarlo a realizzare il suo obiettivo: creare altri ibridi come lui e recuperare le bare dei suoi familiari. Tutto ciò gli fa gradatamente perdere la sua umanità e ritornare ia tempi in cui era un vampiro sanguinario che seminava morte e distruzione.
Frattanto Elena e Damon non si arrendono e cercano di seguirlo per rintracciarlo e aiutarlo, Elena in particolare si assoggetta a un duro addestramento per difendersi da esseri soprannaturali di ogni tipo. Questa vicinanza finisce inevitabilmente per rinforzare il loro legame…



Questo l’incipit della complicata terza stagione della serie tv liberissimamente ispirata alla serie di libri di Lisa Jane Smith.
Se il legame Elena- Stefan-Damon comincia veramente  a stancare (non che sia mai stato molto appassionante), anche i colpi di scena sono abbastanza prevedibili:tipo Stefan che ridiventa cattivo o Damon ed Elena che si lasciano andare a un bacio non proprio innocente…in compenso,le novità e colpi di scena migliori arrivano dalla famiglia new entry, i Michaelson, i vampiri originali che tutti temono e di cui nella seconda stagione abbiamo già conosciuto Eljia e Klaus.
Ai quali si aggiungono la sorella Rebekah, la madre Esther, e soprattutto il terribile padre Mikael (che, come il terribilissimo figlio Klaus di cui tutti avevano terrore solo a sentirlo nominare nella seconda stagione, alla sottoscritta una volta apparso è sembrato il topolino partorito dalla montagna), una famiglia unita da odio, rancore e amore misti in un tutt’uno inestricabile. Forse, alla fin fine,più interessanti loro e il loro interagire con gli altri personaggi, per quanto a volte improbabile (da dove salta fuori l’improvvisa simpatia di Klaus per Caroline?).
Nel complesso però la carenza di idee comincia a farsi sentire, come purtroppo succede a molte serie tv (trovo che alla lunga serialità alla fin fine sia un problema, non per nulla molti attori se ne vanno dopo un po’, anche per non rimanere ancorati sempre allo s tesso personaggio); gli attori sono bravi (sopratutti il solito Ian Somerholder, ma anche Joseph Morgan nel ruolo di Klaus e    nel ruolo della madre Esther), ma purtroppo non basta. Vedremo come sarà la quarta serie, anche se mi è stato preannunciato che sarebbe da lasciare perdere….





mercoledì 7 agosto 2013

Gran bollito, 1977


Regia di Mauro Bolognini , con Shelley Winters (Lea ), Alberto Lionello (Berta), Renato Pozzetto (Stella), Max Von Sydow (Lisa), Laura Antonelli (Sandra), Milena Vukotic (Tina).


Emilia,1940. Lea è una donna del Sud da poco trasferitasi assieme al marito e al figlio Michele, a cui è morbosamente legata essendo l’unico sopravvissuto a 13 gravidanze conclusesi con aborti o neonati morti prestissimo.
La donna è convinta che la sorte le abbia lasciato quell’unico figlio perché in occasione della sua nascita fece un patto con la Morte per tenerselo sempre con sé; e quando Michele non solo si fidanza con Sandra ma viene pure richiamato alle armi, per scongiurare il pericolo Lea decide di rispettare il patto sacrificando tre amiche…



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Nonostante alcuni cambiamenti, la vicenda narrata è chiaramente quella di Leonarda Cianciulli, la famosa “saponificatrice di Correggio” che tra il 1939 e il 1940 uccise tre donne mettendone poi i corpi  a bollire e ricavandone saponette e dolci che dava in omaggio ad amici e compaesani; uno dei più noti casi della cronaca nera italiana.
L’atmosfera abbastanza greve del film, che da subito fa presagire la disgrazia anche in caso uno non conosca la vicenda in questione, viene stemperata in parte dalla scelta di far interpretare le tre future vittime della protagonista a tre attori uomini,che devo dire se la cavano piuttosto bene (spicca Renato Pozzetto in un ruolo che da comico- grottesco vira sul drammatico); Shelley Winters rende molto bene la protagonista, gioviale donna del Sud traumatizzata da ben 13 tra aborti e nati morti (lo dice lei stessa al personaggio di Pozzetto: “dopo quegli aborti non sono più stata la stessa, fisicamente ma anche dentro”) al punto da affidarsi alla superstizione, alla negromanzia fino ad arrivar a livelli folli, di cui non si renderà mai conto (ai carabinieri che vanno ad arrestarla dirà che sono loro i pazzi, perché secondo lei è vero che ha ucciso, ma aveva un motivo per farlo, per lei logico e giustificabile). L’amore materno secondo la protagonista giustifica tutto (il suo unico momento di tentennamento si ha quando tenta di respingere la migliore amica che le era stata vicina durante le  difficoltà del trasloco), tant’è che sceglie le sue vittime anche in base al fatto che non hanno figli (come spiega alla quarta vittima, eliminata per interposta persona- e non esistente nella realtà); il rapporto con il figlio è morboso e disturbato, e infatti il ragazzo riesce a sottrarvisi (certo senza sospettare le attività materne) nel modo maggiormente temuto dalla madre (cioè fidanzandosi, oltretutto con la belissima e forte di carattere Laura Antonelli).
Per Lea, alla fin fine, non si può provare che pietà, oltre all’ovvio orrore.
Un film fatto bene anche se non particolarmente significativo, risultato dignitoso, consigliato agli amanti dei gialli italiani, soprattutto se ispirati a storie vere.





domenica 4 agosto 2013

Amour, 2012


Regia di Michael Haneke, con Jean Louis Trintignant ( Georges), Emmanuelle Riva (Anne), Isabelle Huppert (Eva).

Georges ed Anne sono due anziani coniugi che trascorrono una vecchiaia serena, dedicandosi alla comune passione per la musica (concerti e acquisti di CD). Purtroppo un giorno Anne viene colpita da un ictus che paralizza la parte destra del corpo; è l’inizio  di un rapido declino, nel quale verrà assistita con grande amore dal marito…



Un film bello, profondo, commovente, la storia di un vero amore…eppure allos tesso tempo duro, realistico, angosciante, che non risparmia nulla allo spettatore di cosa vuol dire invecchiare, del dramma e dell’umiliazione di non essere più padroni del proprio corpo nemmeno per le funzioni più banali e automatiche, del pesare totalmente su qualcun altro, senza alcuna speranza di migliorare ma solo con la certezza che più si andrà avanti peggio sarà.
Due grandi prove attoriali fornite da Jean Louis Trintignant  e Emmanuelle Riva, una vecchia coppia il cui amore che li ha uniti per tutta la vita si manifesta inizialmente con condivisione di hobby, piccoli gesti e complimenti, e poi con la perseveranza, pazienza, forza di lui dopo il dramma. Uso raramente questo termine, ma stavolta credo sia giusto dire che possiamo vedere sullo schermo due grandissimi attori.
Brava anche Isabelle Huppert nella parte della figlia, lontana fisicamente ma che cerca di stare vicino ai genitori come può, ritrovandosi però impotente davanti al decadimento della madre; una figura che esprime, al pari delle altre due,il dolore e il dramma di un figlio davanti alla malattia e morte degli anziani genitori.
e' un film che oltre a quello che ho scritto può comunicare molti altri messaggi importanti senza banalità o cose scontate, perciò mi sento di consigliarvelo., anche se in caso di persone sensibili, magari perché hanno vissuto esperienze simili in famiglia, meglio tenere presente l'altissima drammaticità della storia.













 

giovedì 1 agosto 2013

Anni '50, 1998


Regia di Carlo Vanzina, con Ezio Greggio (Maresciallo Arturo Colombo), Antonello Fassari (Mario Proeitti), Cristiana Capotondi (Marisa Proietti), Giovanna Rei (Carmela),Enzo Cannavale (Don Peppino),Sandro Ghiani (Appuntato Gavino Puddu),Serena Grandi (Maria), Andrea Piedimonte (Ciro Esposito), Gea Martire (Addolorata),Anna Longhi (Zia Iole),Sergio Solli (Don Vincenzo), Roberto Albin (Edoardo Cocozza).

Capri, 1955: il maresciallo Arturo Colombo arriva sull’Isola trasferito dal Nord; Marisa Proietti, una ragazzina vincitrice di uno dei primi telequiz, arriva nel più grande albergo dell’Isola accompagnata dal padre Mario e dalla zia Jole per passare la vacanza premio; Ciro e Carmela, due giovani innamorati, devono vivere di nascosto il loro amore contrastato, non solo a causa di un’antica rivalità tra le famiglie, ma anche dalle difficoltà economiche a causa delle quali i genitori di Carmela premono per maritarla col ricco Edoardo Cocozza.
Tutte queste vicende e i relativi personaggi si intrecciano in un’estate caprese, con sfondo le bellezze dell’isola…

Puntualmente riproposta ogni anno in questo periodo, questa divertente fiction si ispira dichiaratamente alle commedie degli anni’ 50 che hanno fatto la storia del cinema italiano; alcuni personaggi in particolare sono dei veri e propri omaggi ad attori e film ben precisi.
Arturo Colombo e Addolorata sono chiaramente ispirati ai personaggi interpretati  da Vittorio De Sica e Tina Pica nella serie “Pane amore e fantasia”, Carmela è ispirata alle varie fanciulle in fiore delle commedie di quegli anni (con un occhio alle due massime protagonista, Sofia Loren e Gina Lollobrigida), Mario Proietti ai vari personaggi di Alberto Sordi e Ciro ai vari attori giovani di quegli anni, soprattutto Mastroianni, Interlenghi, Arena e Salvatori. Insomma le citazioni cinematografiche abbondano, non solo riguardo ai personaggi ma anche ai vari intrecci e storie che si affollano nella cornice, ovviamente splendida, di una Capri riportata agli anni ’50 grazie ad ambientazioni, costumi e colonna sonora, e allo stile che, come già detto, rimanda alla migliore tradizione cinematografica italiana: ci si appassiona a piccoli misteri, alla storia dei due innamorati contrastati e soprattutto si ride senza volgarità di alcun tipo. Dimostrazione (insieme ai due "Sapore di mare") che i tanto odiati Vanzina -ma qui c'è solo Carlo-se vogliono, sanno discostarsi totalmente dal genere cinepanettone che ha fatto la loro fortuna per realizzare film e fiction divertenti ma con stile.
A mio avviso, nel suo genere un ottimo prodotto, io lo riguardo sempre volentieri sognando quegli anni irripetibili…