venerdì 3 maggio 2013

L'uomo che ride (The man who laughs), 1928

Regia di Paul Leni, con Conrad Veit (Gwynplaine), Mary Philbin (Dea),Cesare Gravina (Ursus), Olga Baclanova (Duchessa Josiana),Stuart Holmes (David Dirry Moir).

In una notte di bufera il teatrante girovago Ursus trova due bambini orfani e decide di tenerli con sé, chiamandoli Gwynplaine e Dea. La bambina è cieca, il ragazzino invece ha subito in tenerissima età un’orribile mutilazione al viso, dove gli è stata letteralmente scolpito un ghigno ridente.
Crescendo, tra i due si sviluppa un forte affetto che diventa amore, ma improvvisamente sul gruppetto cade un fulmine a ciel sereno: si scopre che Gwynplaine è in realtà il figlio di Lord Clancharlie, un nobile ribelle, bambino rapito per ordine del vecchio re e consegnato ai Comprachicos, zingari che trafficavano coi bambini; il giovane viene quindi portato a corte per essere reintegrato nel posto che gli spetta di diritto, venendo anche fidanzato con la duchessa Josiane, sorellastra della regina. Attratto dalla possibilità di una vita di agi dopo aver sempre vissuto ai margini, Gwynplaine accetta…



Tratto dall’omonimo romanzo (1869 ) di Victor Hugo, è un classico del cinema muto recentemente recuperato, interessante quindi per chi ama vedere gli albori del cinema. Nonostante oggi i nomi dei due protagonisti non dicano nulla, all’epoca erano due famosi divi del cinema, e pare proprio che molti anni dopo Bob Kane   , il disegnatore creatore di Batman, si ispirò proprio al trucco di Conrad Veit per creare il personaggio di Joker (in effetti la somiglianza è impressionante, diciamo pure che le due maschere sono quasi identiche!).
A parte il lieto fine che nel romanzo non c’è, la trama si attiene abbastanza a quella dl romanzo con una particolare attenzione per alcuni particolari messi in rileivo anche nel romanzo in alcune scene, soprattutto all’inizio, nella parte in cui il piccolo Gwynplaine viene abbandonato e cammina nella landa desolata durante la tormenta di neve (gli impiccati, la donna morta di freddo). Attori in parte e con presenza scenica a mio avviso rilevante, anche se i personaggi sono stati un po’ stereotipati; da segnalare anche la buona idea di dare un posto di rilievo, in mezzo agli attori umani, al cane Homo,come è giusto che sia dato che è così anche nel libro.