sabato 25 aprile 2020

Mondo Youtube: Memorie a 8 bit

Inauguro oggi una nuova rubrica, dedicata al mondo di Youtube e agli Youtubers in particolare.
In questi ultimi dieci anni Youtube ha avuto un'espansione fortissima, arrivando di fatto- a mio avviso- a sostituire i blog , sia i blog- diario che i blog tematici (quelli dedicati, ad esempio, a recensioni di libri, film, serie tv, musica, ma anche a satira, informazione, attualità, cucina ecc).
Questo tipo di comunicazione non è passato inosservato nemmeno per me che comunque sia preferisco il vecchio e caro blog scritto, difatti anche io ora seguo vari Youtubers e ho ormai una discreta esperienza a riguardo. 
Le mie recensioni infatti non saranno volte esclusivamente a presentare i miei Youtuber preferiti ma anche, talvolta, a fare critiche.


Il primo Youtuber di cui vi voglio parlare è uno dei miei preferiti in assoluto: Sergio Algozzino, del canale "Memorie a 8 bit".
Sergio è un fumettista e disegnatore, autore tra lei altre cose anche di alcune graphic novel, tra cui  appunto "Memoria a 8 bit".
Il canale si occupa degli anni '80, cioè gli anni dell'infanzia dello youtuber (e anche i miei), in svariati aspetti: principalmente è dedicato ai cartoni animati e alle loro sigle, ma abbiamo anche video con ricordi di prodotti, giocattoli, altri programmi tv , cinema o personaggi.
Purtroppo risulta essere un canale un po' di nicchia anche se a mio avviso può tranquillamente essere seguito anche da chi in quegli anni non era ancora nato, proprio per la simpatia e la capacità di Sergio di intrattenere in modo intelligente e divertente, e anche per la sua cultura riguardo ai vari temi delle puntate, che siano sigle di cartoni animati o video sulle sorpresine del mulino bianco o sui gelati degli anni '80.
Nel canale si fanno spesso live tematiche (ad esempio attualmente sono in corso dei contest per leggere le migliori sigle dei vari artisti che ne realizzarono in quegli anni), inoltre ci sono delle rubriche fisse: "Cartoni dimenticati" , "Cartoni che avrebbero meritato di più", cioè cartoni sottovalutati, "testi stupidi nelle sigle dei cartoni" in cui si analizzano certe stupidaggini o incongruenze non poco presenti nelle sigle.
E' un canale molto simpatico che a mio avviso merita più successo di quello che ha.



giovedì 23 aprile 2020

Annabelle, 2014


Regia di John R. Leonetti, con Annabelle Wallis (Mia Gordon),Ward Horton (John Gordon), Alfre Woodward (Evelyn), Tony Amendola (_padre Perez).

California, 1967: John e Mia sono una giovane coppia di sposi in attesa del primo figlio, da poco trasferitisi nella nuova casa. Mia ama collezionare bambole e un giorno John le regala Annabelle, una bambola rara che mancava alla sua collezione.
Da quel momento accadono in casa cose strane e parecchio drammatiche, che culminano con l'uccisione dei vicini di casa e l'aggressione alla coppia...




Da appassionata bambolara ho scelto di vedere questo film anche se, come ormai noto, non amo gli horror dato che la maggior parte di essi non mi fa alcuna paura.
Il film è un prequel di "The conjuring- l'evocazione", film horror del 2013 che narra la storia vera dei coniugi Warren, una coppia di ricercatori di paranormale che ebbero diretto contatto con fatti gravi e violenti. L'elemento che unisce i due film è appunto Annabelle, la bambola maledetta.
La narrazione è strutturata sul tipico archetipo di questo genere, con personaggi un po' stereotipati: i due protagonisti sono i tipici sposini tranquilli, felici e benestanti che vivono in una bella casa di periferia e in attesa del loro primo figlio. Mia, la giovane moglie, ha l'hobby del cucito e di collezionare bambole, e non sta nella pelle dalla gioia quando il marito le regala Annabelle, una bambola alquanto particolare che lei cercava da tempo. Ora, fermiamoci e analizziamo questa scena.
Io capisco l'entusiasmo nel trovare una rara bambola che desideravi disperatamente, ma quando la bambola viene mostrata mi sono cascate le braccia: capisco tutto...MA COME CAXXO SI FA A ESSERE COSI' ENTUSIASTE? 'STA COSA E' ORRENDA! Per ovvi motivi non sono di quelli che se la fanno sotto appena vedono una bambola, ma francamente nemmeno io avrei dormito in una camera dove c'era questa...e lei oltretutto la mette pure nella stanza del futuro neonato/a. Poi se non dorme la notte magari dagli pure le goccine, eh! 

Poco tempo dopo, i vicini di casa vengono uccisi dalla loro stessa figlia, un'invasata di nome Annabelle (come la bambola) che aggredisce anche la giovane coppia prima di essere uccisa dalla polizia. Sconvolti i due sposini cambiano casa, nasce una bella bambina, e tutto sembra filare per il meglio, a parte che la cosa continua a riapparire nonostante sia stata buttata o spostata altrove; proseguendo con la trama non abbiamo molte novità: vediamo il solito bambino dal viso innocente che spaventa gli adulti con disegni atroci, la solita vicina simpatica che finirà male, a un certo punto compare il solito prete che risolve magicamente il caso, ci sono pure i soliti incidenti per cui ovviamente nessuno sospetta nulla...e nel mentre NESSUNO che pensi a distruggere la cosaccia.
Si lascia vedere ma francamente niente di più.
Ma sono convinta che a molti amanti del genere piacerà parecchio, sopratutto perchè la cosaccia assassina è un elemento che attira particolarmente.


lunedì 20 aprile 2020

La Lombardia e il Coronavirus

Una cosa che ricorderò sempre di questo periodo nefasto è l'odio e la totale mancanza di empatia che una certa parte dell'Italia (nella fattispecie, una ben specifica regione il cui governatore fa continuamente parlare di sè per le sue colorite trovate) riguardo alle regioni Lombardia e Piemonte (più la prima, a dire la verità).
Pur essendo da sempre consapevole di una certa rivalità (non sempre benevola) esistente tra il nord e il sud del Paese, francamente una cosa del genere non me la sarei mai aspettata: atteggiamenti istituzionali a parte, i commenti che vomitano odio, livore, soddisfazione per quanto ci sta accadendo, colpevolizzazione (“Noi dobbiamo stare rinchiusi per colpa loro!”, come se il virus fosse solo in Italia) sono centinaia in tutto il web.
Troppi per poterli ignorare o derubricare a manifestazioni di web-scempiaggine di cui Internet è pieno riguardo a ogni argomento.
La Lombardia paga la colpa – oltre che di essere una regione ricca e quindi “prima della classe”- di non avere votato a sinistra : molti dei commenti in questione, soprattutto all’inizio, vertevano proprio sul fatto che il coronavirus avesse colpito più duramente due regioni amministrate dalla Lega (“Così imparano a votare Lega!”, “ben gli sta! La prossima volta staranno più attenti a cosa votare”, oppure il classico “è il karmaaaaaaaaa!” tirato sempre in ballo a sproposito). E a dire la verità queste cose continuano, e riportate non solo da anonimi commentatori ma anche da “personalità” o pseudo tali di sinistra molto seguite a livello di followers (Es. Fabrizio Del Prete la pagina FB “Il razzismo non ci piace”, quest’ultima almeno inizialmente).
Ed in effetti inizialmente ci hanno provato anche col Veneto (cosa che era già successa qualche mese quando c’era stata l’alluvione a Venezia), ma hanno dovuto tacere davanti al piglio di Zaia che effettivamente, ha avuto parecchi risultati positivi che anche il comunista più accanito non può negare.
E quindi ecco tutti a dare addosso alla Lombardia.
Ma la mia regione non merita tutto questo.
Prima di tutto, la Lombardia ha accolto migliaia di persone provenienti dalle altre regioni d’Italia: è vero, spesso c’è stato- e in parte c’è ancora- un problema di razzismo che personalmente ho sempre condannato e non hanno mai fatto parte del mio comportamento né- per fortuna- di quello della maggior parte delle persone che conosco. e che comunque non è mai stato a senso unico: nessuno dice mai che al Sud ci chiamano “polentoni”, eh?
Però diciamoci la verità: a queste persone ha dato anche tante opportunità che le loro regioni d’origine non hanno saputo dare (e non è una colpa); ad esempio trovare un buon lavoro, stabilizzarsi, mantenere la propria famiglia, insomma farsi una vita degna di questo nome (cosa che a me, lombarda di nascita, non è invece stata data).
Con tanto lavoro e tanti sacrifici, è vero, ma questi li abbiamo fatti pure noi seppure magari in modo diverso.
Oppure l’opportunità di curarsi, visto che fino a pochi giorni prima del lockdown mezza Italia veniva a curarsi nella tanto vituperata e schifosa Lombardia.
In caso di calamità (terremoti, alluvioni, colera ecc) la Lombardia è sempre stata in prima linea nell’aiutare sia economicamente che fisicamente (con tantissimi volontari recatisi sul posto) le popolazioni colpite, in qualunque parte d’Italia si trovassero. Due esempi che riguardano proprio la mia città: nel Friuli esiste un quartiere chiamato “Villaggio Brescia”, proprio per ricordare il grande aiuto che i bresciani hanno dato all’epoca del terremoto del 1976; e numerosi sono gli attestati di stima e ringraziamento da parte delle popolazioni di Amatrice e dintorni, colpite dal sisma del 2106.
Oggi che invece siamo noi ad avere bisogno di aiuto riceviamo odio, insulti, “sputi” virtuali, “bacchette” che travalicano di molto la semplice e legittima critica al disastroso operato dei nostri governanti.
Una parte del Sud Italia anzi è felice di vedere la Lombardia piegata in due dal dolore.
Non oso inoltre immaginare cosa sarebbe successo se la stessa cosa l’avesse detta uno qualunque qui al nord, magari della Lega. .
Tutto questo mentre ci troviamo ad affrontare qualcosa come ospedali al collasso, l’essere costretti a portare i morti fuori regione perché non c’è più posto (e non ci si è fermati nemmeno davanti al filmato dei camion militari che portavano i morti bergamaschi fuori regione), il sentire il silenzio delle nostre strade rotto solo dalle sirene delle ambulanze e della campane delle chiese che suonano a morto (un sera la chiesa vicino a casa mia ha suonato l’ultima alle 21 passate…).
E senza alcun rispetto non solo per i morti e per tutti coloro che hann subito un lutto, ma nemmeno per medici, infermieri, personale delle pulizie, volontari che da due mesi lavorano in condizioni infernali e in parecchi casi ci hanno anche rimesso la vita.
Se ne sono accorti anche al "Corriere della sera" (che non è il vituperato Libero e quindi non può essere accusato di partigianeria) dato che qualche giorno fa è stato pubblicato un bell'articolo che c'entra piuttosto bene- anche se non completamente secondo me- ciò che sta avvenendo.
Che altro dire? La rabbia davanti a queste cose è tanta, inutile nasconderlo: io stessa mi sono ritrovata a pensare cose che non mi era mai successo finora, ma credo che davanti a tutto ciò che stiamo vivendo siano sfoghi normalissimi che rientreranno nei ranghi.
Ma tutto il resto francamente no, mi spiace. Mentre a gennaio, quando si cominciava a parlare del virus in Cina, tutti si sperticavano con slogan tipo “abbraccia un cinese” o invitavano ad andare al ristorante cinese (e se non aderivi ovviamente eri bollato come “raxxta di mexxxda”), e postavano su Fb storie strappalacrime vere o presunte tali di cittadini cinesi che soffrivano per le discriminazioni a loro dire subite, non ho sentito NESSUNO (Corriere della Sera a parte) che si pronunciasse contro le cattiverie dette contro il nord Italia. Sarà inutile, ma io me lo ricorderò e credo anche molti altri.
In quanto a noi posso solo dire due cose: FORZA LOMBARDIA! Brèsa e Bèrghem mulìv  mia!

sabato 18 aprile 2020

Il campione, 2019

Regia di Leonardo D'Agostini, con Stefano Accorsi ( Valerio Fioretti ), Andrea Carpenzano (Christian Ferro), Ludovica Martino (Alessia), Anita Caprioli (Cecilia).


Christian Ferro è un 18enne calciatore tra i più noti e talentuosi del momento, che fuori dal campo conduce una vita sregolata fatta di eccessivo lusso, eccessi e bagordi. A seguito dell'ennesima cavolata, la sua società pretende che metta la testa a posto e si ripulisca non solo a livello mediatico ma anche personale, iniziando dal conseguire da privatista quel diploma di maturità che aveva accantonato per dedicarsi al calcio.
Per seguirlo negli studi viene scelto Valerio, insegnante che ha rinunciato al ruolo e che, non essendo amante del calcio, rimane impassibile alla fama del ragazzo e lo tratta come un alunno qualunque, iniziando con lui un percorso che però dovrà scontrarsi non solo con i problemi caratteriali del ragazzo ma anche con il mondo che lo circonda...






Davvero un bel film, con una buona trama e ben realizzato e recitato,
La vicenda da cui parte Christian Ferro sembra in parte ricalcata a una vicenda vera risalente all'anno prima: quella del calciatore Donnarumma che rinunciò a dare la maturità per continuare la sua carriera calcistica all'estero, e per questo fu molto criticato.
La versione cinematografica racconta invece una giovane promessa del calcio dotata di talento e perciò iperprotetta  e viziata dai manager della società che se ne occupa; vive in una casa di superlusso, vestiti all'ultima moda, codazzo di amici e fidanzata parassiti. Purtroppo tutto ciò porta inevitabilmente il nostro a commettere una serie di bravate che non passano inosservate agli occhi della stampa e della società calcistica, e quando è ormai quasi fuori dal controllo il presidente della Roma decide di rimetterlo in riga, facendogli prima di tutto riprendere gli studi.
Per questo viene assunto Valerio, ex professore che ha lasciato la cattedra e che comincia dargli lezioni private, faticando non poco a entrare in contatto con un mondo così diverso dal suo, un mondo apparentemente dorato ma dietro cui si nascondono opportunismo, falsità e sopratutto tanta solitudine. Nessuno a quanto pare sembra preoccuparsi veramente per Christian: non il padre che lo sfrutta per farsi mantenere, gli amici che lo sfruttano per comodità e la fidanzata che lo sfrutta per la sua notorietà, e nemmeno il presidente della Roma in fondo preoccupato unicamente che i bagordi non influiscano sul suo rendimento calcistico. Mi ha fatto molta pena perchè è palese che dietro la sua sbruffonaggine e dietro la sua immagine da casinaro ignorante c'è un ragazzo molto solo, per il quale l'unica persona che sembra avergli mostrato affetto sincero è la madre morta però da anni.

Fra insegnante e alunno si instaura un bel rapporto che comincia ad andare al di là del rapporto professionale, anche per il fatto che Valerio- separatosi dalla moglie dopo la morte del figlio- forse vede in Christian uno "strumento" per riparare alla disgrazia della sua vita.
Atteggiamento anche questo sbagliato, a cui il ragazzo troverà la forza di opporsi scegliendo alla fine di prendere in mano la propria vita, grazie anche all'incontro con Alessia, ragazza non appartenente al mondo dello spettacolo con cui costruirà un rapporto vero e sincero.
Ottimi i due protagonisti, Accorsi dolente e tormentato che grazie al nuovo alunno riuscirà a vedere di nuovo un filo di speranza nella sua vita, e Carpenzano giovane promessa meno ignorante e burino di come lo vogliono fare apparire, cerca evidentemente di aderire a quello stereotipo per non deludere gli altri e sentirsi ancora più solo di ciò che già è, nonostante tutto.

Visto al cinema ad aprile 2019


mercoledì 15 aprile 2020

Riccardo III (Richard III), 1955

 Regia di Laurence Olivier, con Laurence Olivier (Riccardo III), Claire Bloom (Lady Anna), Cedric Hardwick (Edoardo IV),John Gielgud (Giorgio di Clarence), Mary Kerridge (Elisabetta Woodville).



Inghilterra,  durante la Guerra delle Due Rose: Riccardo, duca di Gloucester e fratello del Re Edoardo IV, è un uomo ambizioso e spietato che trama nell'ombra per ottenere per sè il trono. Approfittando della fiducia che il re ripone in lui, riesce a far accusare di tradimento l'altro fratello, il duca di Clarence, che viene giustiziato; appena Edoardo muore fa sparire i suoi due figli maschi, eredi al trono che gli sono stati affidati, e attraverso altri assassinii finalmente diventa re Riccardo III...


Versione cinematografica dell'omonima tragedia ( ) di William Shakespeare, è il terzo e ultimo adattamento shakespiriano ad opera di Laurence Olivier dopo Enrico V" ( ) e "Amleto" (1948).
Ora, visto che- come acclarato- la storia narrata da Shakespeare è completamente falsa rispetto alla vera storia di Riccardo III, nella recensione mi limiterò esclusivamente a parlare del film e della trama in sè... e come recensione sarà un po' scontata.
Indubbiamente come film è tecnicamente perfetto (o quasi), e non potrebbe essere altrimenti visto che stiamo parlando di Laurence Olivier, un gigante sia al cinema che a teatro. Il testo originale è stato parzialmente ridotto per adattarlo alle esigenze cinematografiche, ma ciò non ha inficiato la tenuta della storia che funziona molto bene a livello tragico, forti anche delle interpretazioni degli attori che affiancano Olivier, quasi tutti - come il collega- provenienti dall'ambiente teatrale e quindi a loro agio con uno stampo narrativo di questo genere.
Olivier grandissimo come sempre, da solo reggerebbe tutto il film con un personaggio di cui non ci viene celato nulla riguardo a cattiveria e mancanza assoluta di moralità ma di cui tuttavia non possiamo subire il fascino, in particolare nella scena del dialogo con la futura moglie Anna, sedotta sulla tomba del defunto marito Edoardo di Lancaster.
Film che vale la pena di vedere come classico del cinema e del teatro.







domenica 12 aprile 2020

Pezzi unici, 2019

Regia di Cinzia TH Torrini, con Sergio Castellitto (Vanni Bandinelli), Irene Ferri (Anna Berardi),Fabrizia Sacchi (Chiara Fanti), Anna Manuelli (Erica), Leonardo Pazzagli (Lapo), Mosè Curia (Elia), Giorgio Panariello (Marcello Corsi), Margherita Tiersi (Beatrice Corsi), Lucrezia Massari (Jessica), Carolina Sala (Valentina).

Vanni Bandinelli è un artigiano dal carattere burbero, segnato ancora di più dalla misteriosa morte del figlio Lorenzo, catalogata come suicidio. Nonostante ciò accetta l'offerta di Anna, direttrice della casa-famiglia dove Lorenzo lavorava come educatore, di portare avanti un progetto riguardante un laboratorio del legno che il figlio poco prima di morire aveva iniziato con un gruppo di ragazzi disagiati ospiti della comunità. Le cose non saranno facili ma pian piano i due mondi si avvicineranno...


Rinchiusa in casa causa Coronavirus sto recuperando varie cose che non ho visto a suo tempo, tra cui questa bella serie italiana con Sergio Castellitto, purtroppo rovinata da alcune banalità che- non si sa perchè- gli sceneggiatori si fissano a mettere nei loro lavori. E non solo in Italia.
Il protagonista è Vanni, maestro artigiano del legno dal carattere burbero e dai modi spicci accentuati da una terribile tragedia familiare: la morte del figlio Lorenzo, che tra l'altro ha minato anche il rapporto con la moglie Chiara causando la separazione dei due coniugi.
Entrambi i genitori non sono totalmente convinti che il figlio si sia suicidato (come è stata catalogata dagli inquirenti la sua morte), ma nessuno dei due sa come muoversi al riguardo.
Un giorno Vanni viene contattato da Anna, responsabile della casa- famiglia dove Lorenzo lavorava come educatore, la quale gli spiega che il figlio stava lavorando ad un laboratorio del legno con alcuni ragazzi e che il progetto sarà annullato se non troveranno nessuno che se ne farà carico; inizialmente restio Vanni accetta, convinto sopratutto che il segreto della morte di suo figlio sia proprio all'interno della comunità e che in questo modo potrà scoprire qualcosa.
Si prende in carico quindi Erica ( personaggio veramente antipatico che non ho sopportato nonostante il suo background sofferto), Lapo, Valentina, Jessica ed Elia, tutti con gravi problemi - non solo penali- alle spalle, tutti ragazzi difficili e traumatizzati che forse gli somigliano più di quanto lui pensi, e con i quali lentamente nasce un legame di affetto dapprima non troppo manifesto e comunque inficiato dai costanti sospetti sulla morte del figlio, che si riveleranno non del tutto infondati. Con il suo esempio egli saprà reindirizzarli sulla retta via insegnadogli valori veri e l'arte del lavoro, dando loro una speranza per il futuro. Il cammino non è semplice non solo per le varie problematiche dei ragazzi ma anche per i personaggi negativi che girano attorno a loro, spesso anche loro familiari
Il personaggio che però più mi ha colpito è quello di      , altro commerciante amico di Vanni, che rimasto vedovo presto ha allevato da solo la figlia Beatrice: un personaggio sentimentale e buffo, preoccupato delle frequentazioni della figlia e poco rassegnato a "lasciarla andare", interpretato con insolita bravura da Panariello (attore che a me è sempre piaciuto poco).
Come dicevo però, alcuni difetti hanno un po' disturbato la visione: ad esempio, la solita manìa di mettere storie d'amore raffazzonate e improbabili, in particolare quella tra Vanni e Anna, che oltretutto si sviluppa solo nell'ultima puntata quando per tutte le altre ci hanno fatto vedere che lui è innamorato della moglie; aggiungiamoci anche l'altra significativa per la storia (non faccio troppi spoiler, anche se questo blog non lo legge nessuno...), oltretutto piuttosto fastidiosa considerando i ruoli dei due protagonisti all'interno della storia. Meglio quelle delle due giovani coppia Lapo_ Valentina ed Elia- Beatrice. 
Non parliamo poi del "giallo", in alcuni punti piuttosto telefonato e comunque elemento che stona all'interno del contesto narrato. 
Per il resto comunque un prodotto gradevole, caratterizzato in particolare dagli stupendi paesaggi toscani e fiorentini. Sopratutto in questo periodo fanno proprio voglia di farvi un bel viaggio!




giovedì 9 aprile 2020

Non sposate le mie figlie! 2 (Qu'est-ce qu'on a encore fait au bon Dieu?), 2019


Regia di Philippe de Chauveron, con Christian Clavier (Claude Verneauil), Chantal Lauby (Marie Verneauil), Frederique  (Isabelle Verneauil), Elodie Fontan (Laure Berneauil), Julia Piaton (Odile Verneauil), Emilie Caen (Segolene Verneauil), Frederic Chau (Chao Ling), Ary Abittan (David Benichou), Medi Sadoun (Rachid Benassem), Noom Diawara (Charles Koffee).


Di ritorno dal loro viaggio Marie e Claude vanno a trovare figlie e generi, scoprendo un'amara verità: durante la loro assenza le quattro coppie per motivi diversi hanno preso la decisione di trasferirsi nei rispettivi paesi d'origine dei generi.
Presi dallo sconforto all'idea di essere separati da figlie e nipotini i due cominciano ad elaborare dei piani per scongiurare il pericolo, coadiuvati dai consuoceri Andrè e Madeleine, in Francia per assistere al matrimonio della figlia Vivienne...


Riuscito seguito del primo capitolo (cosa che non sempre succede), ritroviamo i coniugi Verneauil alle prese con le famiglie multiculturali delle quattro figlie, ognuna delle quali come si ricorderà ha sposato un uomo cresciuto in Francia ma appartenente a una diversa cultura: Isabelle ha sposato il mussulmano Rachid, Segolene il cinese Chao, Odile l'ebreo David e Laure l'africano Charles.
Nel finale del precedente film, dopo il tribolato matrimonio di questi ultimi, Marie e Claude avevano promesso ai generi di accettare gli inviti delle loro famiglie ad andare a trovarli nei paesi d'origine.
Il secondo episodio inizia proprio al loro ritorno a casa dopo mesi di assenza: i due sono soddisfatti del viaggio e di ciò che hanno avuto modo di vedere ma sono anche felici di essere tornati, dato che hanno definitivamente capito che, pur rispettando le diverse culture, loro si trovano benissimo nella loro cultura e nel loro paese.
Neanche il tempo di risistemarsi che cominciano i casini: le figlie  e i rispettivi consorti, per vari motivi, non si trovano più molto bene in Francia e hanno così deciso (separatamente, senza prima mettersi d'accordo) di trasferirsi nel paesi d'origine dei mariti, rispettivamente: Algeria, Israele, Cina e Africa (non ricordo in quale stato). Per i due nonni (già proiettati nel godersi l'arrivo del nuovo nipotino, figlio dell'ultima coppia formatasi) il colpo è devastante: Marie per un periodo va addirittura in depressione.
Si riscuote quando assieme al marito elabora e comincia a mettere in atto un complicato piano pe fare in modo che le famiglie rimangano dove sono; nel frattempo- sfruttando l'accoppiata comica formatasi nel precedente film- arrivano anche Andrè e Madeleine, i genitori di Charles, non solo per assistere alla nascita del nipotino ma anche per conoscere il promesso sposo della figlia Vivienne.

Naturalmente Andrè non potrà resistere a unirsi al "complotto", essendo contrarissimo all'India ("Il paese in cui la gente si inchina davanti alle vacche?!" esclama incredulo quando gli viene comunicata la decisione dei due giovani sposi). E intanto non immagina chi sia in realtà il futuro "genero"....
Passando sopra al complotto dei quattro genitori (piuttosto improbabile, c'è da dirlo), il divertimento è assicurato e- come nel precedente capitolo- si riflette anche sulla multiculturalità, sul razzismo e sul significato che esso può assumere nelle varie situazioni. 
Altra cosa che mi è piaciuta molto del film è il rapporto tra i cognati, un rapporto amichevole e fraterno che li rende talvolta quasi più vicini delle stesse sorelle. 

Visto al cinema nel marzo 2019



domenica 5 aprile 2020

Quando soffia il vento (When the wind blows), 1986

 Regia di Jimmy T. Murakami, con le voci italiane di Silvio Spaccesi (Jim), Isa Bellini (Hilda).


Jim e Hilda Bloggs sono due anziani coniugi che vivono nella campagna inglese. Un giorno la radio annuncia che l'Unione sovietica sta per lanciare un attacco nucleare contro la Gran Bretagna; inizialmente i due non se ne preoccupano, fiduciosi del fatto che in caso di attacco vero e proprio il governo saprà trovare una soluzione a ogni cosa. Quando però l'attacco arriva i due si ritrovano del tutto impreparati ad affronta l'emergenza, facendo conto esclusivamente sugli opuscoli governativi distribuiti in biblioteca....



Tratto dall'omonima Graphic novel (1982) di Raymond Briggs, è un cartone serio e cupo nonostante lo stile grafico faccia pensare al contrario. Sicuramente non per bambini.
I due protagonisti (ispirati ai genitori dell'autore) sono due teneri anziani che vivono tranquillamente e serenamente in campagna: la loro vita si divide tra faccende di casa  e pettegolezzi di paese, condita dai ricordi del bel tempo andato. Che per loro comprende anche i ricordi di guerra, filtrati attraverso la memoria dell'infanzia che fa vedere le corse i rifugi durante i bombardamenti come delle "gare", e Stalin come un "vecchio zio con quei bei baffoni"
Improvvisamente comincia a soffiare un vento contrario: la Guerra Fredda che teneva banco sui giornali di quegli anni si fa vicina, dato che alla radio viene dato l'annuncio di un imminente attacco nucleare dell'URSS contro la Gran Bretagna, in giro la gente comincia ad assaltare i negozi e supermercati, vengono distribuiti opuscoli con fumose istruzioni riguardo al comportamento che la cittadinanza dovrà tenere in caso di attacco. Opuscoli attentamente studiati da Jim, il marito, che come la moglie ha un'assoluta e incrollabile fiducia nel Governo Britannico: sono infatti convinti che non solo la situazione sia affrontata nel migliore dei modi ma abbia già predisposto un piano di soccorso ovviamente efficientissimo e infallibile. 

Alla fine l'attacco arriva, proprio nel paesino  a pochi minuti di strada dalla loro casa: dopo aver costruito un "rifugio antiatomico" con porte e suppellettili messi a caso ( e quindi ben poco efficace...) vi si riparano qualche giorno, poi escono (esponendosi quindi alle radiazioni) e si trovano immersi in un innaturale silenzio e distruzione: in giro non c'è anima viva, non passano nemmeno più il lattaio e il postino, il telefono non funziona...ma nessuno di questi indizi mette in allarme i due coniugi, che alla fin fine continueranno la loro vita come nulla fosse, preoccupandosi sopratutto di piccolezze come il non potere più avere il tè delle cinque, o il fatto che l'esplosione ha distrutto anche le tendine del salotto.
Man mano che la storia prosegue, lo spettatore si rende perfettamente conto della tragedia che si sta consumando, dovuta principalmente proprio all'ingenuità dei due protagonisti, che fino alla fine non smetteranno di aspettare la fantomatica "squadra di soccorso" secondo loro approntata dal governo.
Squadra che ovviamente non arriverà mai.
Lo stile di disegno morbido e pacato e i colori tenui della fotografia contrastano nettamente con lo stile narrativo cupo e triste che noi spettatori odierni possiamo percepire fin troppo bene, viste alcune analogie con la vicenda che stiamo vivendo attualmente.
Interessante la colonna sonora ad opera di David Bowie e successivamente di Roger Waters. 



venerdì 3 aprile 2020

Il commissario Montalbano: Salvo amato, Livia mia, 2019

Regia di Luca Zingaretti, con Luca Zingaretti (Salvo Montalbano), Sonia Bergamasco (Livia), Cesare Bocci (Mimì Augello), Peppino Mazzotta (Fazio), Angelo Russo (Catarella), Federica De Benedetti (Agata Cosentino), Roberta Giarruso (Signora Caruana).




Montalbano e la sua squadra indagano sul brutale omicidio di Agata, giovane impiegata trovata massacrata nell'archivio in cui lavorava. La ragazza, amica di Livia, era nota in paese per il suo impegno nel volontariato e in particolare con i bambini immigrati...





Con questo episodio per la prima volta la serie tv di Montalbano è sbarcata al cinema in anteprima: o avrebbe dovuto, visto che a Brescia hanno chiuso tutto  due giorni prima, non so se nel resto d'Italia sono riusciti a vederlo al cinema. Questo e il seguente "     " sono anche i primi episodi usciti dopo la scomparsa del regista Alberto Sironi e di Andrea Camilleri, autore letterario della serie.
Si tratta di un triste caso di femminicidio che stavolta colpisce Montalbano più direttamente di altri in quanto la vittima è Agata, una giovane amica di Livia (la quale, avvisata del fatto, si precipita a Vigata). La ragazza viene ritrovata uccisa a forbiciate ( o comunque con un oggetto molto appuntito) nell'archivio in cui lavorava, che però in quel periodo era chiuso per lavori di restauro. 
Agata era conosciuta e benvoluta da tutti come una ragazza sensibile, attaccata alla famiglia, attiva nel volontariato visto che gestiva un centro che si occupava di bambini immigrati: apparentemente sembrava non avesse nemici, le indagini quindi verteranno sul sospetto che possa essere stato sul luogo sbagliato nel momento sbagliato o che possa aver visto qualcosa che non doveva vedere...e purtroppo sarà proprio così.

Questo episodio mi ha molto colpito non solo per la morte violenta di Agata, ma proprio per l'immensa sfortuna che l'ha colpita : sarebbe bastato che uscisse dal bagno pochi minuti dopo per evitarle una fine orribile. 
Come sempre il cast, ormai consolidato da anni, ci rende perfettamente i personaggi che ormai conosciamo e amiamo; certo non ci sono grandissime sorprese, ma trovo che il "fattore novità" spesso lamentato dal pubblico non sia così importante (ma dipende anche dalle storie), anche perchè questo tipo di personaggi e storie sono talmente ben fatti così come sono che troppi cambiamenti non avrebbero senso. 
Luca Zingaretti sostituisce Sironi alla regia, per me ha fatto un buon lavoro e non ho percepito la noia e la lentezza riscontrate da molti altri. 
Ottima fotografia e colonna sonora . 
Il titolo dell'episodio si riferisce a una serie di biglietti che Salvo e Livia si scambiano comunicando fra loro in questa puntata.