Grazie a Bolla del Blog http://bollalmanacco.blogspot.it/ (e con un giorno di ritardo), posso partecipare anche io al "Johnny Depp Day", il giorno in cui i blogger di cinema possono omaggiare un divo nel giorno del suo compleanno; per me è la prima volta e, anche se da qualche tempo seguivo l'iniziativa sul blog di cui sopra perché mi sembrava carina e simpatica, stavolta non ho potuto esimermi dal chiedere se potevo partecipare anche io, visto che Johnny Depp è probabilmente il mio attore preferito in assoluto; lo seguo praticamente dagli inizi, per me è un po' difficile scegliere uno dei suoi film perché mi sono piaciuti quasi tutti. Dopo tanto scartabellare (motivo per cui il post viene pubblicato il giorno dopo il compleanno dell'attore, che cade di 9 giugno) ho scelto uno dei miei preferiti in assoluto, quello con cui per mesi nel 2008 ho tormentato i blogger che mi seguivano sul vecchio blog: "Sweeney Todd", di Tim Burton.
Regia di Tim Burton, con Johnny Depp ( Sweeney Todd), Helena Bonham Carter ( Mrs Lovett), Alan Rickman ( giudice Turpin), Sascha Baron Cohen ( Adolfo Pirelli), Laura Michelle Kelly ( Lucy), Edward Sanders ( Toby)
Nella Londra dell’800 il barbiere Benjamin Barker viene ingiustamente incarcerato e deportato dall’abietto giudice Turpin, invaghitosi di sua moglie; dopo molti anni torna in patria, ma scopre che la moglie si è suicidata e la figlia Johanna è stata adottata dal terribile giudice, che la tiene rinchiusa per costringerla a sposarlo; desideroso solo di vendicarsi di chi gli ha rovinato la vita, con l’aiuto della vicina Mrs Lovett riapre la propria bottega con il nuovo nome di Sweeney Todd e comincia a mettere in atto il suo diabolico piano: tagliare le gole a sconosciuti clienti colpevoli di non meglio specificati peccati, in attesa che sotto la sua lama capitino i suoi nemici. Nessuno si accorgerà della scomparsa degli uccisi in quanto la coppia ha architettato un ingegnoso piano: in tempo di carestia di carne, i cadaveri serviranno per guarnire gli speciali pasticci di carne per cui Mrs Lovett diventa famosa a Londra dopo una vita di stenti. Ma Sweeney non ha mai dimenticato la moglie e la figlia….
DECISAMENTE SPLENDIDO!!!! Già dalla primissima volta che l'ho visto (praticamente il giorno dopo che era uscito) ho decretato che sicuramente SWEENEY TODD sarebbe diventato uno dei miei film preferiti in assoluto, e così è stato. Il regista Tim burton in un’intervista a CIAK la definisce “ una grande storia d’amore tragico”, e in effetti è una definizione abbastanza azzeccata per questo musical cupo e molto particolare. Ispirato ad un romanzo di una autore anonimo (dietro cui probabilmente si celano più rimaneggiamenti da parte di scrittori diversi) , a sua volta ispirato a fatti realmente accaduti nella Londra di metà settecento, il film è la versione cinematografica di un musical del 1979 diventato un cult del genere, che mescola atmosfere e personaggi tipici di altri film di Burton ( come IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW e LA SPOSA CADAVERE) con una nuova concezione, secondo me, del dolore e della vita. Mentre infatti negli altri film i personaggi partivano da una situazione di dolore arrivando man mano a una situazione di serenità ( quindi dal buio alla luce), il protagonista del film fa il percorso inverso, cioè parte da una situazione di felicità per precipitare nell’incubo, nel dolore e nella morte, dai quali non si rialzerà più, perdendo a un certo punto anche la speranza che l’aveva sostenuto bene o male, fino a quel momento. Da vittima innocente diventa aguzzino di altri innocenti, eppure non possiamo non cogliere quel filo di umanità che lo caratterizza così bene da farci “sentire” il suo dolore e il suo tormento, il suo legame non recidibile con un passato felice , persino i sui sentimenti fedeli verso le uniche due persone amate ( che non muoiono fino alla fine) e il lento, inesorabile oblio del presente e del futuro, senza lieto fine.
Attorno a lui una Londra dickensiana grigia, sporca e buia, insomma lo sfondo adatto per compiere terribile nefandezze senza essere scoperti ( e non solo quelle di Todd e di Mrs Lovett: pensate ai crimini del giudice Turpin e alle sue inique sentenze- tra le altre cose fa impiccare un bambino di otto anni- , al racconto che Toby fa della vita in orfanotrofio, ai ricatti di Pirelli), un mondo dove chi vi rimane è destinato ad essere contaminato, a diventare o vittima o carnefice…ed è in quest’ottica che troviamo il personaggio complementare a Todd, la sua amica Mrs Lovett, una poveraccia umanamente povera , una strega triste che forse non era nata per diventare tale ( come il protagonista del resto) e che si attacca disperatamente e quello che le capita sottomano, sognando a volte in modo comico ( basti pensare alla sequenza dove immagina di andare al mare) una vita diversa, normale, rispettabile, senza rendersi conto che indietro non si torna…
In tutto questo contesto appare scipita e un poco incolore la storia tra i due giovani innamorati, che evidentemente servivano solo per contrastare la diabolica coppia Todd-Lovett, del resto il film poggia molto sulle due ottime interpretazioni di Johnny Depp ( ma ditemi vi prego: che deve fare ‘sto poveraccio per ricevere un Oscar???Possibile che non ne abbia ancora vinto uno?????)- fantastico, non dico nulla, andatelo a vedere!!!- nei panni del protagonista, e di Helena Bonham Carter- per lei vale lo stesso del collega- nei panni di Mrs Lovett. Indimenticabili i loro numeri musicali. SWEENEY TODD ha fatto guadagnare ai nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo uno strameritato Oscar per la migliore scenografia, anche se avrebbe meritato molto di più, anche come nomination: solo tre , ( scenografia, miglior attore protagonista e costumi), snobbando completamente le altre categorie come miglior regista, sceneggiatura , attrice e soprattutto colonna sonora e canzoni…no comment. Del resto spesso i migliori sono proprio quelli che rimangono fuori. Da vedere assolutamente!!
Regia di Vincent Minelli, con Mary Astor (Anna Smith),Leon Ames (Alonzo Smith), Judy Garland (Esther Smith), Lucille Bremer (Rose Smith), Margaret O’Brien (Tootie Smith), Harry Davenport (il nonno).
Saint Louis, 1903: la benestante famiglia Smith vive serenamente, fino a quando il capofamiglia, avvocato, annuncia di aver avuto la proposta di un trasferimento a New YorK. La famiglia accoglie con angoscia questa notizia, i particolari i tre figli maggiori che stanno vivendo le loro prime storie d’amore…
Tratto dalla serie di racconti “5135 Kensington” ( ) di Sally Benson , è un musical carino che si poggia su una trama molto molto “basic” (fossero tutti quelli i problemi della vita!), ma che a suo tempo oltre a essere un grande successo di pubblico, risultò importante per varie ragioni: fu il primo vero successo di Vincent Minelli, dove incontrò la moglie Judy Garland; presentò la canzone “Have yourself a Merry Little Christmas”, diventata nel tempo uno dei classici musicali di Natale; tipico esempio di film che dietro a una trama sentimentale e allegra nasconde momenti di tristezza o tensione (e qui le scene solitamente coinvolgono la bambina più piccola). Il film è ben diretto e si lascia vedere anche se i numeri musicali annoiano un poco; bella la cornice di ambientazioni e costumi dell’America dei primi del ‘900 e molto bravi gli interpreti, tra cui spicca la piccola attrice Margaret O’Brien, che per questo film ricevette uno speciale Oscar come “migliore giovane attrice” (all’epoca agli attori bambini ancora non era consentito concorrere nelle categorie degli attori adulti) e una Judy Garland ancora giovane ed entusiasta; le due tra l’altro hanno insieme uno dei migliori numeri musicali del film. Un film carino e classico con cui passare una serata piacevole, se poi qualcuno vuole leggervi qualcosa di più ben venga…
Regia di Paul Leni, con Conrad Veit (Gwynplaine), Mary Philbin (Dea),Cesare Gravina (Ursus), Olga Baclanova (Duchessa Josiana),Stuart Holmes (David Dirry Moir).
In una notte di bufera il teatrante girovago Ursus trova due bambini orfani e decide di tenerli con sé, chiamandoli Gwynplaine e Dea. La bambina è cieca, il ragazzino invece ha subito in tenerissima età un’orribile mutilazione al viso, dove gli è stata letteralmente scolpito un ghigno ridente. Crescendo, tra i due si sviluppa un forte affetto che diventa amore, ma improvvisamente sul gruppetto cade un fulmine a ciel sereno: si scopre che Gwynplaine è in realtà il figlio di Lord Clancharlie, un nobile ribelle, bambino rapito per ordine del vecchio re e consegnato ai Comprachicos, zingari che trafficavano coi bambini; il giovane viene quindi portato a corte per essere reintegrato nel posto che gli spetta di diritto, venendo anche fidanzato con la duchessa Josiane, sorellastra della regina. Attratto dalla possibilità di una vita di agi dopo aver sempre vissuto ai margini, Gwynplaine accetta…
Tratto dall’omonimo romanzo (1869 ) di Victor Hugo, è un classico del cinema muto recentemente recuperato, interessante quindi per chi ama vedere gli albori del cinema. Nonostante oggi i nomi dei due protagonisti non dicano nulla, all’epoca erano due famosi divi del cinema, e pare proprio che molti anni dopo Bob Kane , il disegnatore creatore di Batman, si ispirò proprio al trucco di Conrad Veit per creare il personaggio di Joker (in effetti la somiglianza è impressionante, diciamo pure che le due maschere sono quasi identiche!). A parte il lieto fine che nel romanzo non c’è, la trama si attiene abbastanza a quella dl romanzo con una particolare attenzione per alcuni particolari messi in rileivo anche nel romanzo in alcune scene, soprattutto all’inizio, nella parte in cui il piccolo Gwynplaine viene abbandonato e cammina nella landa desolata durante la tormenta di neve (gli impiccati, la donna morta di freddo). Attori in parte e con presenza scenica a mio avviso rilevante, anche se i personaggi sono stati un po’ stereotipati; da segnalare anche la buona idea di dare un posto di rilievo, in mezzo agli attori umani, al cane Homo,come è giusto che sia dato che è così anche nel libro.
Regia di King Vidor, con Audrey Hepburn (Natascia Rostova), Mel Ferrer (Andrea Bolkonskji ), Henry Fonda (Pierre Bezuchov), Vittorio Gassman (Anatolji Kuragin),Anita Ekberg (Elena Kuragin), Herbert Lohm (Napoleone),Jeremy Brett (Nicola Rostov).
Nella Russia napoleonica, il principe Andrea si innamora di Natasha Rostova, giovane donna appartenente a una nobile famiglia, ma quando essa prende una sbandata per l’ambiguo Anatolji rompe il fidanzamento e parte per la guerra…
Tratto dal capolavoro di Lev Tolstoji, è una versione hollywoodiana che condensa in modo il più spiccio possibile una trama lunga, molto articolata e (non me ne vogliano gli estimatori di Tolstoji e della letteratura russa) mortalmente noiosa. Ma nemmeno il modificare/tagliare il più possibile la trama elimina l’effetto abbiocco di cui lo spettatore rischia di cadere vittima nel 90% dei casi; sinceramente mi sono sciroppata questo famoso kolossal un po’ perché alla mia cultura cinematografica non mancasse un pezzo importante, e un po’ per amore della protagonista Audrey Hepburn….ma ciò non ha fatto altro che accrescere l’opinione negativa nei confronti di questo autore che già avevo. Infatti nel film in sé non c’è nulla che non vada: realizzato con cura e dovizia di particolari, con sapiente regia e ottimi attori (tra i quali ci sono anche Vittorio Gassman e Anita Ekberg pre “Dolce Vita”)- anche se ho sempre trovato che Mel Ferrer sia una sorta di Leslie Howard vent’anni dopo :attore fisicamente e carismaticamente slavato anche se molto amato- Insomma, il mio giudizio negativo non vuole scoraggiare la visione del film da parte di altri, che sicuramente se interessati al genere sapranno apprezzarlo meglio di me. Il film ha ricevuto nel 1957 tre nominations all’Oscar e cinque al Golden Globes.
Regia di Michael Mann , con Daniel Day Lewis (Hawkeye), Madeline Stowe (Cora Munore),Jody May (Alice Munroe), Eric Schweig (Uncas), Steven Weddington (Duncan Hayward), Maurice Roeves (colonnello Munroe)
America, 1757: il guerriero Hawkeye in realtà è un bianco che, trovato neonato da una tribù indiana, è stato adottato e cresciuto come uno di loro dal capo Chingachgook assieme a suo figlio Uncas. I due indiani, assieme a un terzo che poi si rivelerà una spia, vengono incaricati di scortare le sorelle Cora e Alice Munroe , figlie del comandante Munroe, fino al fortino dove si trova il padre con il suo battaglione. Durante il viaggio, pieno di pericoli tra Hawkeye e Cora nasce l’amore…
Tratto dall’omonimo romanzo (1826 ) di James Fenimore Cooper, è la versione più famosa di questa storia, credo meritatamente (non ho visto le altre, a parte il cartone animato) dato che il film è un ottimo mix di avventura e romanticismo, potremmo definirlo un prodotto hollywoodiano nell’accezione più positiva del termine; un film che quindi può attirare uomini e donne indistintamente. Non c’è solo una bella storia d’amore tra due accattivanti protagonisti un po’ stereotipati, ma stavolta non in senso banale o sgradevole (i soliti belli, indomiti, coraggiosi e anticonformisti), ma anche avventura, coraggio e anche un po’ di storia, che non guasta mai. Ottimi interpreti, a partire da Daniel Day Lewis nel ruolo de coraggioso protagonista, bellissimi paesaggi (le foreste della Blue Ridge Mountains della Carolina del Nord) valorizzati da un’ottima fotografia e bellissima colonna sonora di Vangelis. Il film nel 1993 vinse il premio Oscar come miglior sonoro.
Regia di Giacomo Campiotti, con Filippo Scicchitano (Leo), Aurora Ruffino (Silvia),Gaia Weiss (Beatrice), Luca Argentero(professore), Romolo Guerreri (Nico).
Il 16enne Leo è innamorato della bella Beatrice, una ragazza che frequenta la sua scuola ma che non ha mai trovato il coraggio di avvicinare. Quando sembra creatasi l’occasione, arriva una terribile notizia: Beatrice è malata di cancro e solo un trapianto di midollo può salvarle la vita…
Il film è tratto dal romanzo omonimo (2010 ) di Alessandro D’avenia. Come molti sanno mi paicciono i film sugli adolescenti e il loro mondo, forse anche perché mi permette di sognare qualcosa che io non ho mai avuto (sono patetica, lo so, ma prendetemi così come sono). Nonostante la tristezza (confesso di aver sperato fino alla fine nel lieto fine) è un film carino, con personaggi simpatici anche se un po’ racchiusi in certi stereotipi (l’amico sfigatino, la ragazza bruttarola con l’apparecchio, l’amica del cuore, la ragazza misteriosa e bellissima, il prof anticonformista ecc), Particolare il rapporto del protagonista Leo con i colori (avessi fatto io un miliardesimo di quello che ha fatto lui in camera sua più volte con la vernice sarei stata fustigata), a cui il ragazzo associa cose e sensazioni, e a cui si ricollega una delle canzoni della colonna sonora, prevalentemente curata dai Modà (che a me personalmente piacciono). Attori carini e in parte, sia tra i giovani (che però pare debbano fare ancora molta strada) che fra gli adulti (simpatici i genitori di Leo, Flavio Insinna e ),dove giocoforza spicca Luca Argentero nei panni del prof giovane ed empatico con gli alunni (mai visti così però eh…). Carina la vicenda parallela dei due ragazzi bruttini che finiscono per fidanzarsi grazie a un iniziale equivoco. Nonostante la sopracitata tristezza, finale pieno di speranza, tutto sommato il modo in cui voleva essere ricordata Beatrice. Ho letto da qualche parte che il percorso di Leo è un percorso di formazione che lo porterà alla maturità, non credo sia completamente così ma certamente l’entrare in contatto con una persona malata porterà il protagonista a prendere decisioni mature e importanti, come il diventare donatore di midollo osseo, cosa che sicuramente gli rende onore.
Concedetemi però una riflessione personale:se fossi stata Silvia più che sentirmi male perchè Leo aveva cambiato posto dopo la loro litigata, mi sarei sentita male per il soprannome "Silvia c'è" affiabiatole dall'amico, che non può non far venire in mente chi so io....
Regia di George Pollock, con Hugh O’Brian (Hugh Lombard), Shirley Eaton (Ann Clyde), Fabian (Mike Raven), Leo Genn (Generale Mandrake), Wilfrid Hyde White (Giudice Cannon),Marianne Hoppe (Elsa Grohmann),Mario Adorf (Joseph Grohmann), Daliah Lavi (Ilona Bergen),Dennis Price (Edward Armostrong), Stanley Holloway (Detective William Blore). Otto persone sconosciute fra di loro vengono invitate a passare un fine settimana in un isolato castello di montagna raggiungibile solo con una teleferica da un misterioso ospite comune, che però non si fa trovare: ha lasciato a ricevere gli invitati solo due domestici, anch’essi ignari di chi sia il loro datore di lavoro dato che sono stati appena assunti tramite agenzia solo per una settimana. La sera, la voce proveniente da un registratore nel mezzo della sala da pranzo annuncia a tutti i presenti che sono stati riuniti in quanto ognuno di loro , in modi e situazioni differenti, nel proprio passato si è reso responsabile della morte di qualcuno, e che per questo saranno punite… Tratto dall’omonimo romanzo (1939 ) di Agatha Christie, è un bel film giallo, con buoni attori anche se sconosciuti (almeno per me, l’unico che ho riconosciuto è l’italiano Mario Adorf), girato con un buon ritmo e suspence crescente; peccato per il finale che, essendo diversissimo dal romanzo, stravolge interamente non solo il senso del film ma pure della storia (del resto la mania del lieto fine a tutti i costi ha fatto molte vittime nella storia del cinema). Comunque da vedere, ai fan del romanzo penso potrà piacere comunque…almeno fino al finale!